Niente a che vedere con l’aglio, il nome di questo vitigno è una storpiatura di Ellenico, oppure deriva dalla città greca di Elea sulle coste tirreniche della Campania: è, infatti, una delle tante varietà importate in Italia dai Greci all’epoca della loro colonizzazione. Il più noto è quello allevato nel Vulture, una zona della Basilicata caratterizzata da terreno vulcanico, ma esiste anche quello coltivato in Campania che dà vita a due vini rossi notevoli: il Taurasi e l’Aglianico del Taburno. Il suo grappolo è compatto e lungo; l’acino di piccole dimensioni ha forma sferoidale con buccia consistente e pruinosa; la foglia di medie dimensioni è trilobata. Di vigoria bassa o media e maturazione media o tardiva.
È il vitigno più impiantato al mondo, ma in pochi probabilmente lo sanno. Infatti, quest’uva è poco conosciuta al di fuori dai confini nazionali, ovvero della Spagna, ma è molto utilizzata per creare vini bianchi di pronta beva. È un vitigno simile al Trebbiano italiano e all’Ugni blanc francese e, infatti, come questi entra anche nella creazione del brandy. Il suo grappolo di grandi dimensioni e mediamente compatto ha forma conica o cilindrica; l’acino di dimensioni medio-grandi ha forma sferoidale; la foglia di medie dimensioni è pentalobata. Di elevata vigoria e maturazione media.
Ha un grande merito questo vitigno, che forse come nome ai più non dice nulla: insieme a Bosco e Vermentino rientra nella composizione di uno dei vini più pregiati e particolari della Liguria e dell’Italia intera, lo Sciacchetrà, un vino passito. Anticamente era conosciuto con il nome di Calcatella perché gli acini spesso appaiono accalcati tra di loro e sembra sia imparentato (o sia addirittura lo stesso vitigno) con la Bianchetta genovese. Il suo grappolo di dimensioni medie ha forma cilindrica o conica; l’acino di piccole dimensioni ha forma ellissoidale e buccia sottile e pruinosa; la foglia di piccole o medie dimensioni e pentagonale è intera. Di media vigoria e maturazione media.
Nato dall’unione tra i due celebri vitigni piemontesi, Nebbiolo e Barbera, a opera di Giovanni Dalmasso, è noto anche con il nome di Incrocio Dalmasso XV/31. Ma bisogna precisare che il noto ampelografo non scelse il classico Nebbiolo, ma il Nebbiolo di Dronero, detto anche Chatus, un vitigno autoctono della regione alpina tra Italia e Francia. Oggi l’Albarossa sta trovando estimatori sia tra i produttori (ancora pochi) che tra i consumatori, anche all’estero. Il suo grappolo è di dimensioni medie, compatto, di forma piramidale; l’acino è piccolo, di forma ellissoidale con buccia spessa e pruinosa; la foglia di dimensioni medio-piccole è pentagonale e pentalobata. Di vigoria elevata, ha maturazione tardiva.
Appartiene a una grande famiglia, quella dei Lambruschi, e infatti è diffuso proprio nella patria di questo vitigno: l’Emilia Romagna. Probabilmente il suo nome deriva dalla famiglia dei Lancellotti di Modena, ma attualmente è allevato soprattutto in provincia di Reggio Emilia, in particolare a Massenzatico. Le sue uve sono così ricche di pigmenti colorati che i vini che se ne ricavano sono detti “rossissimi”. Il suo grappolo di dimensioni medie, mediamente compatto, è spargolo e ha forma piramidale; l’acino di grandi dimensioni ha forma sferoidale e buccia spessa e pruinosa; la foglia di medie dimensioni e pentagonale è pentalobata. Di elevata vigoria e maturazione tardiva.
Si perdono nella notte dei tempi e si legano a un personaggio leggendario le origini di questo vitigno: si dice infatti che fosse coltivato nelle terre del cavaliere Crispino di Arneis. Molto più probabile che l’etimologia derivi invece dal termine dialettale che indica persona ribelle e scontrosa, quale è questo vitigno. Che però, in una terra di rossi come il Piemonte, dà uno splendido vino bianco, tipico del Roero, quando vinificato in purezza, oppure entra nel blend di altre etichette. Il suo grappolo di dimensioni medie è di forma cilindrica o piramidale; l’acino di piccole o medie dimensioni ha forma ellissoidale e buccia pruinosa; la foglia di medie dimensioni cuneiforme e pentagonale è tri o pentalobata. Di elevata vigoria e maturazione medio-precoce.Si perdono nella notte dei tempi e si legano a un personaggio leggendario le origini di questo vitigno: si dice infatti che fosse coltivato nelle terre del cavaliere Crispino di Arneis. Molto più probabile che l’etimologia derivi invece dal termine dialettale che indica persona ribelle e scontrosa, quale è questo vitigno. Che però, in una terra di rossi come il Piemonte, dà uno splendido vino bianco, tipico del Roero, quando vinificato in purezza, oppure entra nel blend di altre etichette. Il suo grappolo di dimensioni medie è di forma cilindrica o piramidale; l’acino di piccole o medie dimensioni ha forma ellissoidale e buccia pruinosa; la foglia di medie dimensioni cuneiforme e pentagonale è tri o pentalobata. Di elevata vigoria e maturazione medio-precoce.
Ha una caratteristica molto particolare questo vitigno: è ancora allevato come un tempo, cioè con tutori vivi, piante di olmo di pioppo, anziché i classici sostegni artificiali delle viti moderne, costituendo alberate alte anche 20 metri. Diffuso in Campania, soprattutto nel Casertano, probabilmente è proprio originario di questa regione ed era coltivato dagli Etruschi che addomesticarono le viti selvatiche della zona. Il nome non ha bisogno di spiegazioni: si riferisce al gusto aspro del vino che se ne ricava. Il suo grappolo compatto o mediamente compatto ha forma cilindrica o conica; l’acino di medie dimensioni ha forma ellissoidale e buccia di medio spessore e pruinosa; la foglia di medie dimensioni è pentalobata. Di elevata vigoria e maturazione media.
Si fa presto a dire Barbera, ma i vitigni che portano questo nome assumono caratteristiche diverse a seconda della zona di coltivazione: Asti, Monferrato e Alba in Piemonte, Oltrepò Pavese in Lombardia e anche alcune località del Centro Italia. È l’uva più diffusa in Italia insieme al Sangiovese e il vino omonimo è uno dei più conosciuti e consumati nel Bel Paese. Una curiosità: il nome si deve declinare al femminile, ovvero la Barbera. Il suo grappolo di dimensioni medie e compatto ha forma piramidale; l’acino di medie dimensioni ha forma ellissoidale e buccia sottile e pruinosa; la foglia di medie dimensioni e pentagonale è pentalobata. Di media vigoria e maturazione medio-precoce.
Ecco uno dei tanti vitigni autoctoni dimenticati che sta avendo un notevole ritorno di interesse da parte di produttori e consumatori. È antichissimo ed era già ricordato dagli scrittori romani quali Plinio, anche con i suoi diversi sinonimi, tra i quali il più diffuso è Cacchione. Solitamente vinificato insieme a Trebbiano e Malvasia in molte etichette del Lazio, ultimamente viene impiegato anche in purezza dando ottimi vini bianchi profumati da abbinare alla tipica cucina locale. Il suo grappolo di dimensioni medie è compatto, di forma cilindrica o conica; l’acino di medie dimensioni ha forma sferoidale e buccia spessa e puntinata; la foglia di grandi dimensioni e pentagonale è pentalobata. Di elevata vigoria e maturazione tardiva.
È a volte confuso con un altro vitigno ligure autoctono, l’Albarola, e c’è chi afferma, in base a studi ampelografici, che si tratti proprio della stessa varietà. È coltivato in particolare nel Genovese e nel golfo del Tigullio, ma anche nella vicina Toscana. Viene vinificato in purezza, oppure, più frequentemente, in uvaggio con altri vitigni per ottenere alcune DOC (denominazione di origine controllata): Val Polcevera, Golfo del Tigullio-Portofino. Il suo grappolo di dimensioni medie è compatto con forma conica; l’acino di piccole dimensioni ha forma ellissoidale e buccia sottile e poco pruinosa; la foglia di piccole o medie dimensioni e pentagonale è intera e trilobata. Di elevata vigoria e maturazione media.
Forse imparentata con l’omonima Bianchetta genovese, è coltivata però in Veneto. Si hanno notizie storiche di un’uva bianca definita appunto “bianchetta” coltivata sui colli intorno alla città di Treviso fin dal Settecento. Questa regione italiana è la patria del Prosecco e, infatti, la Bianchetta trevigiana entra nel disciplinare di questo vino insieme al vitigno principale, la Glera: tradizionalmente utilizzato per ingentilirlo soprattutto nelle annate fredde. Il suo grappolo di dimensioni medie è compatto con forma cilindrica o piramidale; l’acino di medie dimensioni ha forma sferoidale e buccia spessa; la foglia di medie dimensioni e pentagonale è trilobata. Di elevata vigoria e maturazione tardiva.
Un dolce nome per un vitigno tipico dell’isola di Ischia. Anche se le prime citazioni storiche documentate risalgono soltanto all’Ottocento pare sia stato importato in epoca molto antica dalla Corsica, dove è ancora coltivato con il nome di Petite Blanche. Ma alcuni studi asseriscono addirittura che sia stato introdotto in Campania dai Greci provenienti dall’isola di Eubea nel VII-VI secolo a.C. Sull’isola del golfo di Napoli ha trovato un habitat ideale grazie ai terreni vulcanici che predilige. Il suo grappolo di dimensioni medie è compatto, di forma cilindrica o piramidale; l’acino di dimensioni medie ha forma sferoidale e buccia sottile e pruinosa; la foglia di medie dimensioni e orbicolare è tri o pentalobata. Di bassa vigoria e maturazione media.
Sorprendente l’origine del nome di questo vitigno: probabilmente deriva dalla parola bambino, perché la forma del suo grappolo ricorda quella di un infante. Oppure potrebbe semplicemente significare “buon vino”, anche perché apprezzato in zona per la sua resistenza e adattabilità. Coltivato soprattutto in Puglia, è alla base di una delle DOCG (denominazione di origine controllata e garantita, la più alta secondo la legislazione italiana) della regione: Castel del Monte. Non deve essere confuso con il Bombino bianco, un vitigno a bacca bianca tipico dell’Italia centrale. Il suo grappolo è lungo e compatto; l’acino di medie dimensioni ha forma sferoidale e buccia spessa e pruinosa; la foglia di medie dimensioni è pentalobata. Di elevata vigoria e maturazione tardiva.
Ha un grande merito questo vitigno, che forse come nome ai più non dice nulla: insieme a Bosco e Vermentino rientra nella composizione di uno dei vini più pregiati e particolari della Liguria e dell’Italia intera, lo Sciacchetrà, un vino passito. Il nome potrebbe derivare dalle pendici boscose delle Cinque Terre dove è coltivato o da un bosco nella villa dei Marchesi Durazzo a Genova. Il suo grappolo di dimensioni medie è spargolo e di forma cilindrica o conica; l’acino di medie dimensioni ha forma ellissoidale e buccia spessa e pruinosa; la foglia di medie dimensioni e pentagonale è pentalobata. Di elevata vigoria e maturazione media.
È stato protagonista del pranzo preparato per Carlo d’Inghilterra in occasione di Expo2015: niente male per un vitigno che era considerato adatto soltanto per produrre vini da taglio. Ma ora che i vitigni autoctoni della Sardegna sono sempre più valorizzati il Bovale sta vivendo il suo momento di gloria e viene vinificato in purezza, oppure in uvaggio con l’altro protagonista dell’enologia sarda: il Cannonau. Una sua interessante particolarità è l’alto contenuto di polifenoli, che lo rendono un potente antiossidante. Il suo grappolo di medie dimensioni ha forma cilindrica o conica; l’acino di medie dimensioni ha forma obovoidale e buccia spessa e pruinosa; la foglia di medie dimensioni è pentalobata. Di elevata vigoria e maturazione medio-tardiva.
È tra i vitigni aromatici, anche se meno famoso rispetto ai vari Moscati e Malvasie, forse perché la sua area di coltivazione è molto ristretta, esclusivamente in Piemonte nella zona di Acqui Terme. Era conosciuto fin dall’antichità, però ha avuto un lungo periodo di oblio, soprattutto dopo la calamità della fillossera: negli anni Novanta del secolo scorso ha visto una ripresa di interesse da parte di produttori ed estimatori fino a ottenere la menzione DOCG (denominazione di origine controllata e garantita, la più alta secondo la legislazione italiana) per il vino omonimo che da esso di ricava. Il suo grappolo di dimensioni medie è compatto o mediamente compatto, di forma cilindrica o piramidale; l’acino di medie dimensioni ha forma ellissoidale e buccia pruinosa; la foglia di medie dimensioni e orbicolare è trilobata. Di vigoria moderata e maturazione medio-precoce.
Lo si chiama soltanto con il nome solitamente ma ha anche un “cognome”: Sauvignon (che significa selvaggio). Infatti, esiste anche un altro Cabernet, il Franc, che insieme al Merlot è protagonista di quello che viene chiamato taglio bordolese: un blend di questi tre vitigni che è stato inventato nella zona di Bordeaux ed esportato il tutto il mondo. Entrambi i Cabernet sono vitigni internazionali diffusi ovunque grazie alla resistenza e all’adattabilità. Il grappolo del Cabernet Sauvignon, di medie dimensioni, è compatto e di forma cilindrica; l’acino di medie dimensioni ha forma sferoidale e buccia consistente; la foglia di dimensioni medie e pentagonale è pentalobata. Di elevata vigoria e maturazione media o tardiva.
Mai da solo, ma in ottima compagnia: questo vitigno viene utilizzato per ammorbidire le asprezze del Sangiovese nella realizzazione dei pregiati Chianti. Il barone Bettino Ricasoli, “inventore” del prestigioso vino toscano, stabilì per la precisione: sette parti di Sangiovese, due di Canaiolo e una di Malvasia. Non viene invece praticamente preso in considerazione per la vinificazione in purezza. L’etimologia potrebbe riferirsi alla canicola, le caldissime giornate estive. Il suo grappolo di dimensioni medie è mediamente compatto e spargolo, di forma cilindrica o piramidale; l’acino di dimensioni medie ha forma sferoidale e buccia molto pruinosa; la foglia di piccole o medie dimensioni è tri o pentalobata. Di bassa vigoria e maturazione media.
Risalgono a 3200 anni fa i ritrovamenti di vinaccioli appartenenti a questo vitigno, nel corso di scavi relativi alla civiltà nuragica: autoctono quindi della Sardegna, mentre si pensava che vi fosse stato importato dalla Spagna data la stretta parentela (anzi sono probabilmente esattamente lo stesso vitigno) con la Garnacha (o Grenache in francese). Invece è dall’isola italiana che è stato successivamente introdotto nella penisola Iberica. Il suo grappolo di grandi dimensioni e compatto ha forma conica; l’acino di medie dimensioni ha forma sferoidale e buccia spessa; la foglia di medie dimensioni e orbicolare è pentalobata. Di elevata vigoria e maturazione tardiva.
È il papà (o la mamma se si preferisce) di tutti i vitigni bordolesi. Importato dall’Albania alla Francia in epoca romana, curiosamente la sua coltivazione Oltralpe è stata quasi del tutto abbandonata a causa della delicatezza del vitigno, mentre sta avendo grande successo in Cile. Anche in Italia è allevato nelle regioni di Veneto e Friuli-Venezia Giulia. Il nome probabilmente deriva dal termine carminio, che si riferisce al colore dell’uva. Il suo grappolo di dimensioni medie è spargolo e ha forma cilindrica o conica; l’acino di medie dimensioni ha forma sferoidale e buccia spessa e pruinosa; la foglia di medie dimensioni e pentagonale è cuneiforme. Di elevata vigoria e maturazione medio-precoce.
Figlio del vulcano: questo vitigno cresce sulle pendici dell’Etna e i tentativi di trapiantarlo altrove non hanno dato buoni risultati. Come dice il suo nome era prodotto in notevoli quantità (appunto a “carrettate”), ma ora la produzione è stata ridimensionata. Raramente vinificato in purezza (rientra nelle DOC Etna), è abbinato ad altri vitigni a bacca bianca come Catarratto e Inzolia, ma anche nera come il Nerello mascalese. Il suo grappolo di dimensioni medie è mediamente compatto, di forma conica e spargolo; l’acino di medie dimensioni ha forma ellissoidale e buccia pruinosa; la foglia di medie dimensioni e pentagonale è tri o pentalobata. Di media vigoria e maturazione media.
Significa abbondanza il suo nome e in effetti è il vitigno più coltivato della Sicilia e il secondo più diffuso in Italia (parlando di uva a bacca bianca), anche se in molti non lo conoscono. Spesso associato a Carricante, è utilizzato come base per il Vermouth e soprattutto nella preparazione del Marsala, ma oggi è sempre più frequentemente vinificato in purezza e produce ottimi vini. Il suo grappolo di medie dimensioni e compatto ha forma conica o cilindrica; l’acino di medie dimensioni ha forma sferoidale o ellissoidale e buccia spessa; la foglia di medie dimensioni e pentagonale o orbicolare è pentalobata. Di buona vigoria e maturazione media.
Esistono diverse località in Italia denominate Cesano, ma questo vitigno a bacca nera prende il nome da Cesano vicino a Roma. Sono coltivate due varietà diverse di Cesanese: il Comune e quello di Affile. Per lungo tempo il Cesanese del Piglio (altra località vicino alla capitale) è stata l’unica DOCG (denominazione di origine controllata e garantita, la più alta secondo la legislazione italiana) del Lazio, ora affiancata da due varietà di Frascati. Il suo grappolo di medie dimensioni e compatto ha forma conica o cilindrica; l’acino di medie dimensioni ha forma ovoidale e buccia spessa molto pruinosa; la foglia di grandi dimensioni e pentagonale è tri o pentalobata. Di media vigoria e maturazione medio-tardiva.
Recitava una sua pubblicità: “Per molti ma non per tutti”. In realtà questo è davvero uno dei vitigni più coltivati e più conosciuti al mondo e sicuramente tutti l’hanno provato o lo proveranno una volta nella vita. Originario della Francia, è ora diffuso su tutto l’orbe terracqueo: oltre che in Europa, nelle Americhe e in Oceania. Può essere vinificato in purezza o in blend con altri vitigni: la miscela più famosa è sicuramente quella con Pinot noir e Pinot Meunier dalla quale nasce lo Champagne. Infatti lo Chardonnay, oltre che secco, è vinificato anche come spumante. Il suo grappolo di dimensioni medie è compatto, di forma cilindrica o conica; l’acino di piccole dimensioni ha forma sferoidale e buccia sottile e pruinosa; la foglia di dimensioni medie è intera. Di elevata vigoria e maturazione precoce.
Originario della regione francese della Loira, oggi è diventato il vitigno simbolo del Sudafrica, dove però è chiamato Steen, ma è diffuso anche in Sud America e Australia. Il nome deriva da Mont-Chenin, località della Turenna, ed è documentato con sicurezza dal Quattrocento, anche se probabilmente il vitigno era già coltivato nell’Alto Medioevo. Alcuni studiosi affermano che sia nato vicino al castello di Chenonceaux, lo splendido maniero dove abitò anche Caterina de’ Medici. Il suo grappolo di dimensioni medie è molto compatto; l’acino di dimensioni medio-piccole ha forma ellissoidale; la foglia è di medie dimensioni. Di buona vigoria e maturazione tardiva.
Non è difficile capire quale sia la caratteristica principale di questo vitigno: l’aroma di ciliegia. Coltivato soprattutto in Toscana (ma anche in Liguria, Marche, Abruzzo, Umbria, Lazio), le sue uve vengono solitamente utilizzate in abbinamento con il vitigno Sangiovese tipico della zona per conferirgli maggiore morbidezza e freschezza: ultimamente però viene utilizzato anche in purezza. Può essere vinificato anche in bianco e in rosato. Il suo grappolo di dimensioni medie è compatto, di forma piramidale o cilindrica; l’acino di medie o grandi dimensioni ha forma sferoidale e buccia di medio spessore e pruinosa; la foglia di dimensioni medie o grandi e pentagonale è tri o pentalobata. Di elevata vigoria e maturazione precoce.
Un simpatico termine probabilmente onomatopeico di cui non si conosce il significato per questo vitigno caratteristico dell’Abruzzo, dove è documentato dagli inizi del Novecento, ma presente anche in Puglia. Coltivato soprattutto nelle province di Chieti, Teramo e L’Aquila, è utilizzato in uvaggi principalmente con il Trebbiano, ma ultimamente viene vinificato anche in purezza: la sua acidità lo rende particolarmente adatto alla spumantizzazione. Il suo grappolo è di dimensioni medie, compatto, di forma conico-cilindrica; l’acino è grande, di forma sferoidale con buccia spessa; la foglia di dimensioni medio-grandi è tri o pentalobata. Di vigoria media, ha maturazione media.
Non mente il suo curioso nome: il grappolo ha proprio la forma di una coda di volpe. È un vitigno di cui si hanno notizie fin dall’epoca romana: già Plinio il Vecchio lo citava come adatto all’allevamento a pergola nella sua “Naturalis historia”. Le sue zone d’elezione sono le pendici del Vesuvio, quindi la provincia di Napoli, e Sannio e Taburno, nel Beneventano. Fino a qualche tempo fa utilizzato esclusivamente in blend con altre uve della zona, ultimamente è vinificato in purezza con ottimi risultati. Il suo grappolo è lungo e compatto, spargolo e di forma piramidale; l’acino di piccole dimensioni ha forma sub-sferoidale e buccia spessa e pruinosa; la foglia di grandi dimensioni è pentalobata. Di bassa vigoria e maturazione media.
Come dice il suo nome le sue uve hanno una tonalità di rosso particolarmente intenso e, infatti, era molto utilizzato in uvaggio con il Sangiovese per dare più colore al Chianti. Ma in seguito al miglioramento della qualità del Sangiovese e all’introduzione di vitigni internazionali nella preparazione del famoso vino toscano, il Colorino è meno usato per questo scopo e viene addirittura vinificato in purezza con buoni risultati. Il suo grappolo di dimensioni medie, compatto o mediamente, compatto ha forma conica; l’acino di dimensioni medio-piccole ha forma sferoidale e buccia spessa e pruinosa; la foglia di dimensioni medio-piccole è pentagonale e orbicolare, tri o pentalobata. Di moderata vigoria e maturazione media.
Chiamato anche Passerina nera o Uva marina nera, proviene dall’omonima località greca da cui si è diffuso sia in Turchia che in altre zone europee. In Italia si è ben adattato nelle isole Eolie o Lipari, dove è presente fin dal VII secolo a.C.: rientra infatti nell’uvaggio dei vini afferenti alla DOC (denominazione di origine controllata) Malvasia delle Lipari. Esistono anche le varietà affini, ma distinte, Corinto bianco e Corinto rosa. Il suo grappolo è medio, spargolo, di forma conica; l’acino di dimensioni piccole ha forma sferoidale con buccia sottile e pruinosa; la foglia di dimensioni medio-piccole è pentagonale e pentalobata. Di vigoria bassa, ha maturazione precoce.
Curiosamente è stato il vitigno preferito dalla nobiltà genovese nel Rinascimento, nel Settecento era molto citato tra i vitigni del Piemonte, poi è stato dimenticato e ora invece è tornato in auge. Il vino Gavi (la località piemontese in cui è allevato) è un bianco molto richiesto e si trova facilmente nei ristoranti come nelle enoteche. Il merito della sua riscoperta è soprattutto di Mario Soldati, uno scrittore appassionato delle tradizioni popolari e dell’enogastronomia italiane. Il suo grappolo di dimensioni medie è spargolo, di forma piramidale o conica; l’acino di medie o grandi dimensioni ha forma ellissoidale e buccia sottile e pruinosa; la foglia di dimensioni piccole o medie e pentagonale è penta o eptalobata. Di elevata vigoria e maturazione media.
Sono neri come l’ala di un corvo gli acini di quest’uva le cui prime notizie storiche risalgono soltanto al Seicento. Probabilmente originario della Valpolicella, attualmente è coltivato, oltre che in Veneto, in Lombardia, nella zona del lago di Garda. Non viene vinificato in purezza, ma entra nei disciplinari di due vini molto famosi, uno fresco e beverino come il Bardolino e l’altro di grande struttura come l’Amarone della Valpolicella, uno dei più costosi nel panorama enologico nostrano. Il suo grappolo di dimensioni medie è compatto, di forma cilindrica o piramidale; l’acino di medie dimensioni ha buccia particolarmente pruinosa; la foglia di medie dimensioni e pentagonale è pentalobata. Di elevata vigoria e maturazione media o tardiva.
Già conosciuto nell’anno Mille è il tipico vitigno lombardo, coltivato nell’Oltrepò Pavese, ma anche nel Piacentino, in Piemonte e in Veneto. Vinificato in purezza dà origine al vino Bonarda, una delle DOC (denominazione di origine controllata) tipiche appunto dell’Oltrepò, da non confondere con il vitigno Bonarda, che è una varietà totalmente diversa diffusa nel Novarese in Piemonte. Il suo grappolo di grandi dimensioni e lungo ha forma conica; l’acino di medie dimensioni ha forma sferoidale e buccia spessa e pruinosa; la foglia di medie dimensioni e pentagonale è tri o pentalobata. Di buona vigoria e maturazione medio-tardiva.
Ecco un nome decisamente fuorviante per uno dei vitigni tipici del Piemonte. I vini che se ne ricavano, infatti, non sono dolci, bensì classici rossi dai tannini piuttosto decisi, soprattutto da giovani. Però forse il termine che lo indica (documentato dal Settecento) si riferisce proprio a una caratteristica di dolcezza, che questo vitigno avrebbe paragonato al re della zona, il Nebbiolo, e ai vini che da esso si ricavano, in particolare Barolo e Barbaresco. Un’altra etimologia lo farebbe invece risalire alla parola dialettale “dosset”, cioè bassa collina. Il suo grappolo è lungo, conico e spargolo; l’acino di medie dimensioni ha forma sferoidale e buccia sottile particolarmente pruinosa; la foglia di medie dimensioni è pentalobata. Di moderata vigoria e maturazione medio-precoce.
Un altro vitigno che, come spesso accade, a lungo è stato scambiato con un altro: la Nosiola, tipica del Trentino. La Durella invece è attestata da fonti storiche dell’Ottocento nel Vicentino e nell’Oltrepò Pavese e oggi viene utilizzata soprattutto per la preparazione di spumanti. Il nome forse fa riferimento all’elevata consistenza della buccia dell’acino. Il suo grappolo di medie dimensioni è corto e mediamente compatto; l’acino di medie dimensioni ha forma ovoidale e buccia spessa e pruinosa; la foglia di medie dimensioni e intera è trilobata. Di elevata vigoria e maturazione medio-tardiva.
Stranamente è stato chiamato per molto tempo Lambrusco a foglia frastagliata, ma poi gli studi ampelografici hanno appurato che non appartiene alla famiglia del tipico vitigno emiliano, bensì è autoctono della Vallagarina in Trentino. Già Plinio il Vecchio citava un’uva denominata Enantium diffusa in questa zona delle Alpi. Oggi, insieme agli altri vitigni trentini quali Schiava, Lagrein o Teroldego, rientra nel disciplinare del Valdadige rosso DOC (denominazione di origine controllata). Il suo grappolo è lungo, compatto, di forma conica; l’acino di dimensioni medie ha forma obovoidale con buccia sottile e pruinosa; la foglia di dimensioni medio-piccole è pentagonale e pentalobata. Di vigoria moderata, ha maturazione tardiva.
Un nome che è una poesia per questo vitigno piemontese veramente poco conosciuto: mi è capitato di chiederlo in un’enoteca e vedere il gentile commesso strabuzzare gli occhi nell’udire l’inedito termine. Che deriva dal magico effetto dei raggi del sole autunnale sugli acini giallo dorati dalla maturazione ottobrina. Eppure, questa zona del Canavese era già coltivata in epoca Romana, mentre la prima citazione documentata dell’“alba lux” risale al 1606. Il suo grappolo è di grandezza media, mediamente compatto o compatto, di forma conica; l’acino di medie dimensioni ha forma sferoidale con buccia pruinosa; la foglia di medie dimensioni è pentalobata. Di vigoria elevata e maturazione media.
Ha fatto la sua entrata trionfale nel dorato mondo del Franciacorta, ovvero spumanti metodo classico, ma pochi lo conoscono al di fuori della zona del Bresciano. Questo vitigno autoctono a bacca bianca, infatti, è stato a lungo dimenticato, ma ora è stato rivalutato grazie al cambiamento climatico: infatti, la sua maturazione tardiva e l’elevata acidità compensano i problemi dovuti al riscaldamento e lo rendono particolarmente adatto all’uvaggio con Chardonnay e Pinot nero per la spumantizzazione. Il suo grappolo è di grandezza media, compatto, di forma conica o cilindrica; l’acino di piccole dimensioni ha forma sferoidale con buccia pruinosa; la foglia di grandi dimensioni è pentagonale e pentalobata. Di vigoria elevata e maturazione tardiva.
Si dibatte se si tratti di un altro nome del Vermentino utilizzato in ambito piemontese, oppure se sia una varietà affine, ma distinta. Già nel Seicento era citata come “favorita” proprio perché piaceva molto ai wine lover dell’epoca, ma oggi sta rischiando di scomparire poiché messa in ombra dagli altri bianchi del Roero. Il suo grappolo è di grandezza media, mediamente compatto, di forma cilindrica o piramidale; l’acino di medie o grandi dimensioni ha forma sferoidale o ellissoidale con buccia di medio spessore pruinosa; la foglia di medie o grandi dimensioni è pentagonale e pentalobata o addirittura eptalobata. Di elevata vigoria e maturazione media.
È un vitigno “straniero”, come dice il suo nome, che è stato introdotto nell’isola di Ischia per soppiantare la varietà Biancolella che era stata duramente colpita dall’epidemia di fillossera di metà Ottocento. Oggi in realtà sopravvivono entrambe queste uve e danno vita a ottimi vini bianchi, sia in purezza che in blend, che rientrano nella DOC (denominazione di origine controllata) Ischia. Il Forastera è presente anche in alcune etichette IGT (indicazione geografica tipica) della Campania ed è coltivato anche in Sardegna. Il suo grappolo è di grandezza media, spargolo e di forma cilindrico-piramidale; l’acino di medie dimensioni ha forma ellissoidale con buccia sottile e pruinosa; la foglia di grandi dimensioni è orbicolare, trilobata o pentalobata. Di elevata vigoria, ha maturazione medio-precoce.
È famoso tra gli esperti di enologia perché è uno dei pochi vitigni che ha resistito all’attacco della fillossera e ancora adesso è allevato “a piede franco”, cioè senza utilizzare l’innesto delle barbatelle americane: questo grazie al terreno sabbioso sul quale prospera. Forse originario della Côte d’Or nella regione di Bordeaux, è attestato già dal Cinquecento in Romagna dove lo si chiamava Uva d’oro (il termine non induca in errore, si tratta di uva a bacca nera); oggi rientra nella DOC (denominazione di origine controllata) Bosco Eliceo delle province di Ferrara e Ravenna. Il suo grappolo è grande e di forma piramidale; l’acino di dimensioni grandi ha forma ellissoidale con buccia sottile e pruinosa; la foglia di dimensioni medio-grandi è pentagonale e tri o pentalobata. Di buona vigoria, ha maturazione tardiva.
Sicuramente non è uno dei nomi che vengono subito alla mente quando si pensa all’infinito universo dei rossi italiani. Però è molto coltivato in Piemonte e ha una storia lunga cinquecento anni: si è perfettamente adattato a queste zone del Nord Italia particolarmente avare di precipitazioni estive. Si distinguono una Freisa piccola, meno produttiva e più pregiata, e una Freisa grossa, al contrario più produttiva e meno pregiata. Il suo grappolo di dimensioni medie è mediamente compatto, di forma cilindrica e spargolo; l’acino di piccole o medie dimensioni ha forma ovoidale e buccia sottile e pruinosa; la foglia di piccole o medie dimensioni e cuneiforme è trilobata. Di media o elevata vigoria e maturazione media o tardiva.
Il nome deriva dall’aspetto dei suoi acini, che sembrano affumicati a causa della spessa pruina che li ricopre, oppure dall’aroma affumicato che caratterizza il vino che se ne ricava. La sua prima menzione ufficiale risale soltanto alla metà dell’Ottocento, ma probabilmente era allevato in Valle d’Aosta da lungo tempo. Oggi vinificato in purezza tanto da meritare la DOC (denominazione di origine controllata) Valle d’Aosta Fumin, precedentemente era usato in uvaggio con altri vitigni a bacca nera della zona, in particolare il Petit rouge. È coltivato a 600/700 metri d’altezza e dà vini strutturati destinati all’invecchiamento. Il suo grappolo è di grandezza medio-piccola, mediamente compatto, alato e di forma piramidale; l’acino di dimensioni medio-piccole ha forma sferoidale con buccia molto pruinosa; la foglia di medie dimensioni è pentagonale e trilobata. Di vigoria elevata, ha maturazione medio-tardiva.
Il vitigno più coltivato in Calabria: il suo nome non è molto conosciuto, probabilmente lo è di più il vino rosso che da esso si ricava, il Cirò, la più famosa DOC (denominazione di origine controllata) della regione. Si ipotizza sia stato importato dai Greci all’epoca della colonizzazione del Sud Italia; successivamente i viticoltori calabresi l’hanno sempre allevato e hanno saputo creare da esso degli splendidi vini. Studi ampelografici hanno dimostrato la sua stretta parentela con il Frappato. Il suo grappolo di dimensioni medie è compatto, di forma piramidale o conica; l’acino di dimensioni medie ha forma sferoidale ovoidale e buccia di media consistenza e pruinosa; la foglia di medie dimensioni e pentagonale è pentalobata. Di elevata vigoria e maturazione medio-precoce.
Poco famoso il vitigno, molto famoso il vino che se ne ricava: il Beaujolais nouveau. Originario della Borgogna, il Gamay prende il nome proprio da una località di questa regione francese, ma è coltivato anche in Italia, in particolare in Valle d’Aosta, Friuli, Toscana e Umbria. È sempre stata considerata un’uva di scarsa qualità, tanto che il duca di Borgogna Filippo l’Ardito alla fine del Trecento ne ordinò la completa estirpazione: fortunatamente invece è sopravvissuta fino ai giorni nostri quando si è scoperto che è particolarmente adatta alla macerazione carbonica che dà origine ai vini novelli. Il suo grappolo di medie dimensioni è compatto e di forma cilindrica; l’acino di piccole o medie dimensioni ha forma obovoidale e buccia spessa e molto pruinosa; la foglia di medie dimensioni e orbicolare è trilobata. Di media vigoria e maturazione precoce.
Un vitigno sconosciuto ai più, ma dal quale deriva uno dei vini più noti: il Soave. Una delle etichette simbolo del Veneto e in particolare della ridente zona del lago di Garda, il bacino più grande d’Italia. Le sue origini sono controverse: alcuni lo ritengono appartenente alla famiglia dei Trebbiani e quindi coltivato dagli Etruschi, altri lo considerano una delle tante varietà importate dai Greci nella penisola all’epoca della creazione delle colonie della Magna Grecia. La prima menzione ufficiale risale al trattato scritto da Pier de’ Crescenzi nel Duecento. Il suo grappolo è grande, mediamente compatto, lungo e di forma cilindrica o piramidale; l’acino di medie dimensioni ha forma sferoidale con buccia spessa; la foglia di medie dimensioni e pentagonale è pentalobata. Di vigoria ottima e maturazione media o tardiva.
Il suo nome è poco noto perché gli è stata rubata la scena: la Glera, infatti, è il vitigno col quale si produce il vino più esportato d’Italia, il Prosecco, e questo termine (che deriva invece da una località friulana) ha soppiantato quello esatto. Ora è però ritornato in auge, anche per difendere questo splendido vino dai numerosi tentativi di imitazione. La realtà storica ci dice che era già conosciuto in epoca romana ed è spesso citato in opere settecentesche, sempre relative a Veneto e Friuli Venezia Giulia. Il suo grappolo è di grandezza media, mediamente compatto, di forma piramidale; l’acino di medie dimensioni ha forma sferoidale con buccia leggermente puntinata; la foglia è pentagonale e trilobata o pentalobata. Di vigoria buona, ha maturazione tardiva.
È lo stesso vitigno che in Veneto è chiamato Garganega, ma gli studi storici e ampelografici non hanno ancora chiarito come mai sia attecchito in due regioni così distanti, visto che il Grecanico è autoctono della Sicilia occidentale. Qui è documentato storicamente dal Rinascimento, ma probabilmente era stato importato dai Greci ben prima dell’era volgare. Il suo nome esatto è Grecanico Dorato, perché il colore dei suoi acini ricorda proprio i bagliori del metallo prezioso. È vinificato in purezza o in blend con le altre varietà tipiche del luogo: Grillo, Inzolia, Catarratto e Chardonnay. Il suo grappolo è grande, mediamente compatto, lungo e di forma cilindrica o piramidale; l’acino di medie dimensioni ha forma sferoidale con buccia spessa; la foglia di medie dimensioni e pentagonale è pentalobata. Di vigoria moderata e maturazione tardiva.
Vive bene in tutto il mondo: è infatti uno dei vitigni più resistenti e adattabili, tanto che lo si trova in Francia (soprattutto nella valle del Rodano e in Provenza) e in Spagna (dove è l’uva a bacca nera più coltivata dopo il Tempranillo), ma anche in California, in Cile e in Australia. In Italia è conosciuto come Cannonau e le più recenti ricerche hanno appurato che è proprio dalla Sardegna che questa varietà ha iniziato a diffondersi ovunque. Si calcola che la famiglia delle Grenache copra circa 200000 ettari sparsi nei vari continenti. Spesso vinificato in uvaggio, soprattutto con Syrah e Mourvèdre, ultimamente è apprezzato anche in purezza. Il suo grappolo è di grandezza media, mediamente compatto e di forma conica; l’acino di dimensioni medie ha forma sferoidale con buccia sottile; la foglia di medie dimensioni è pentagonale e pentalobata. Di vigoria elevata, ha maturazione tardiva.
Famoso ma non troppo: sicuramente non abbastanza da meritare una DOCG (denominazione di origine controllata e garantita, la più alta secondo la legislazione italiana) per il vino che da esso si ricava, anche se è uno dei vitigni più noti del Piemonte, delle zone di Astigiano e Monferrato. Conosciuto fin dall’antichità, il suo nome forse deriva dall’espressione dialettale “gragnola” che indica una grande quantità di semi. È un vitigno piuttosto scontroso: infatti non è facile da lavorare e risulta molto più tannico di quanto ci si possa aspettare dal colore. Il suo grappolo di dimensioni medie è compatto, di forma piramidale; l’acino di piccole o medie dimensioni ha forma ellissoidale e buccia sottile e pruinosa; la foglia di medie o grandi dimensioni e pentagonale è tri o pentalobata. Di media vigoria e maturazione media.
Non tutti lo sanno, ma è il vitigno alla base del famoso Marsala. È, infatti, coltivato in questa zona della Sicilia, anche se in realtà proviene originariamente dalla Puglia. È perfetto per la vinificazione del Marsala, perché ha una naturale propensione all’ossidazione e all’elevata alcolicità. Se impiegato in purezza dà ottimi vini bianchi, generalmente di qualità superiore rispetto agli altri siciliani. Il suo grappolo di dimensioni medie è mediamente compatto e spargolo, di forma cilindrica o conica; l’acino di dimensioni medie o grandi ha forma sferoidale e buccia spessa e pruinosa; la foglia di medie dimensioni e orbicolare è pentagonale e pentalobata. Di elevata vigoria e maturazione medio-tardiva.
Esistono diversi vitigni chiamati groppello, perché il nome significa semplicemente grappolo molto fitto: tutti tipici del Nord Italia e attestati da documenti storici fin dal Cinquecento, il Gentile è particolarmente diffuso in Lombardia ed è utilizzato soprattutto per la produzione dei famosi rosati (chiaretti) del Garda. Il suo grappolo di medie dimensioni e allungato è compatto e ha forma conica o cilindrica; l’acino di medie dimensioni ha forma sferoidale e buccia sottile e pruinosa; la foglia di medie dimensioni e pentagonale è trilobata. Di buona vigoria e maturazione media.
Vitigno simbolo dell’Austria, è citato anche da Goethe, ma con il nome di Weissgipfel (cima bianca), ed è documentato dal Cinquecento. È coltivato anche in Italia, in zone limitate: la valle dell’Isarco in Alto Adige, la provincia di Caserta e l’Abruzzo. La sua ampia diffusione in Austria è dovuta a un fatto curioso: negli anni Cinquanta del secolo scorso venne utilizzato come “vitigno didattico” per gli studenti di viticoltura e futuri agricoltori. Il suo grappolo di dimensioni medie e compatto ha forma piramidale; l’acino di dimensioni medio-grandi ha forma sferoidale o obovoidale e buccia spessa e pruinosa; la foglia di medie dimensioni e pentagonale è pentalobata. Di elevata vigoria e maturazione media.
Il grande romanziere milanese non c’entra: il nome di questo vitigno proviene da Luigi Manzoni, un professore di enologia che negli anni Trenta del Novecento creò alcuni ibridi dei quali il più famoso è il Manzoni Bianco 6.0.13, incrocio di Riesling Renano e Pinot bianco, oggi coltivato soprattutto in Veneto e Friuli-Venezia Giulia. Gli altri sono: Manzoni Rosso (Glera e Cabernet Sauvignon), Manzoni Rosa (Trebbiano e Gewürztraminer), Manzoni Moscato (Raboso del Piave e Moscato d’Amburgo). Il suo grappolo corto è compatto o mediamente compatto con forma cilindrica o conica; l’acino di dimensioni medio-piccole ha forma sferoidale e buccia spessa e pruinosa; la foglia di dimensioni medio-piccole è pentagonale e pentalobata. Di moderata vigoria e maturazione media.
Come dice il suo nome è un vitigno creato dall’uomo mediante un incrocio, in questo caso di Barbera e Cabernet franc, a opera del viticoltore Riccardo Terzi. È diffuso quasi esclusivamente in provincia di Bergamo ed entra nel disciplinare di una DOC (denominazione di origine controllata) della zona, la Cellatica. Il suo grappolo di medie dimensioni e mediamente compatto ha forma piramidale; l’acino di medie dimensioni ha forma sferoidale e buccia pruinosa; la foglia di medie dimensioni e pentagonale è pentalobata. Di elevata vigoria e maturazione medio-tardiva.
È conosciuto con questo nome soltanto in Sicilia, mentre nelle altre regioni dove è coltivato (Toscana, Lazio, Sardegna, Calabria) è chiamato Ansonica. La sua origine è da ricercare però proprio nella grande isola, dove forse è stato portato dai Normanni all’epoca della loro dominazione; potrebbe essere nativo della Francia. È impiegato nella produzione del Marsala, è abbinato ad altri vitigni bianchi siciliani come il Grillo, oppure più raramente è vinificato in purezza. Il suo grappolo di dimensioni medie, spargolo, ha forma conica; l’acino di medie o grandi dimensioni ha forma sferoidale; la foglia di medie dimensioni è pentagonale. Di elevata vigoria e maturazione medio-precoce.
Ecco un vitigno nato in provetta: è stato, infatti, creato nel 1929 incrociando Riesling renano e Schiava grossa (chiamata Trollinger in tedesco) e dedicato al poeta tedesco Justinus Kerner noto per i suoi versi sul vino. Introdotto, oltre che in Germania, Austria e Svizzera, anche in Italia nella valle dell’Isarco (Alto Adige), dà ottimi vini, anche spumanti, grazie alla sua elevata acidità. È considerata un’uva semiaromatica e adatta alla coltivazione eroica, cioè in montagna, perché resiste anche ad altitudini fino ai 900 metri. Il suo grappolo di medie dimensioni è compatto o mediamente compatto; l’acino di medie dimensioni ha forma sferoidale e buccia sottile; la foglia di piccole o medie dimensioni è pentalobata. Di buona vigoria e maturazione tardiva.
Il suo nome è la traduzione tedesca della valle Lagarina in Alto Adige e infatti è vitigno tipico della zona di Bolzano. Viene citato come vino bianco nel Quattrocento, mentre nel secolo seguente vi sono notizie storiche sulla sua versione rossa. Il Lagrein, infatti, può essere vinificato con ottimi risultati in tutte e tre le colorazioni enologiche. Studi ampelografici hanno dimostrato una sua stretta parentela con Teroldego e Marzemino (gli altri due vitigni tipici di Trentino-Alto Adige) e anche Syrah. Il suo grappolo di dimensioni medie è compatto, di forma piramidale; l’acino di medie dimensioni ha forma ovoidale e buccia spessa e pruinosa; la foglia di medie dimensioni e pentagonale è trilobata. Di elevata vigoria e maturazione tardiva.
Curioso il destino di questo vitigno tipico della Romagna: è uno dei più noti, sicuramente produce i vini più bevuti da sempre, ma finora non ha meritato neanche una DOCG (denominazione di origine controllata e garantita, la più alta secondo la legislazione italiana). Eppure è citato addirittura da Virgilio, che lo conosceva bene perché nel mantovano dove era nato il grande poeta la vitis labrusca (cioè selvaggia) era molto diffusa. Fondamentale per la sua evoluzione è stata l’introduzione nel Settecento della bottiglia borgognona con il vetro che resisteva all’esuberanza delle bollicine caratteristiche del vino Lambrusco. Le varietà di questo vitigno sono diverse: le principali Grasparossa, Salamino, Maestri, Marani, di Sorbara. Sono tutte caratterizzate da un’elevata vigoria.
La città marchigiana di Macerata è il suo luogo d’origine, ma è allevato anche in Umbria: a lungo trascurato, come spesso è accaduto ai vitigni autoctoni, oggi sta avendo una riscossa che lo porta a rivaleggiare con la varietà a bacca bianca tipica della regione, il Verdicchio. Probabilmente appartiene alla famiglia dei vitigni denominati Greco, in quanto importati nel territorio italiano all’epoca della Magna Grecia, e ha diversi sinonimi tra i quali il più diffuso è Ribona, che secondo alcuni significa “due volte buono”. Il suo grappolo è di grandezza media, serrato e di forma cilindrico-conica; l’acino di dimensioni medie ha forma sferoidale con buccia spessa e pruinosa; la foglia di dimensioni medio-grandi è orbicolare e pentalobata. Di media vigoria, ha maturazione medio-tardiva.
Tipico della Calabria, sia sulla costa tirrenica che ionica, era coltivato anche in Sicilia e nelle Marche. Attualmente viene utilizzato in blend con altri vitigni a bacca nera della regione per ottenere vini rossi ai quali grazie alle sue caratteristiche conferisce robustezza e idoneità all’invecchiamento. Il nome forse deriva dal fatto che il grappolo sembra un piccolo pugno o maglio. Il suo grappolo di medie dimensioni e compatto ha forma conica; l’acino di medie dimensioni ha forma ellissoidale e buccia spessa e pruinosa; la foglia di grandi dimensioni e orbicolare è pentalobata. Di media vigoria e maturazione media.
È il cognome del primo produttore che lo impiantò il nome di questo vitigno tipico della regione di Bordeaux, in particolare del Medoc. Anche in Italia è allevato nelle regioni di Veneto e Friuli-Venezia Giulia. La sua storia è particolare: gravemente colpito dalla fillossera, venne esportato in Argentina, dove attecchì subito e diede buoni vini rossi; in seguito a un ulteriore miglioramento del vitigno, oggi il Malbec è diventato il simbolo enologico della nazione sudamericana. Il suo grappolo di dimensioni medie e mediamente compatto ha forma piramidale; l’acino di dimensioni medio-grandi ha forma sferoidale e buccia spessa e pruinosa; la foglia di grandi dimensioni e orbicolare è intera e trilobata. Di moderata vigoria e maturazione precoce.
Inevitabile pensare a uno dei Sette Nani di Walt Disney, ma in realtà il nome di questo vitigno toscano a bacca nera è legato alla viola mammola, il cui profumo caratterizza il vino che se ne ricava. Ha una nobile storia, perché era tra le varietà coltivate nelle ville medicee fin dal Rinascimento. Oggi il suo carattere aristocratico si conferma con la presenza nell’uvaggio del Chianti e soprattutto del Vino Nobile di Montepulciano. Il suo grappolo è di grandezza media, mediamente compatto, spargolo e di forma cilindrica; l’acino di dimensioni medio-grandi ha forma ellissoidale con buccia molto pruinosa; la foglia di medie dimensioni è orbicolare, pentagonale e trilobata. Di buona vigoria, ha maturazione tardiva.
Il nome di questo vitigno internazionale è proprio quello che sembra: si chiama così perché è prediletto dai merli. Originario della Francia, in particolare della Gironda e di Bordeaux, ora è diffuso in tutto il mondo grazie alla sua adattabilità. Ma non è (quasi) mai da solo: si accompagna, infatti, al Cabernet Sauvignon. Sono entrambi vitigni diffusi internazionalmente che si combinano perfettamente tra di loro, abbinando precocità e vigoria a longevità ed eleganza. Il suo grappolo di dimensioni medie è spargolo, di forma piramidale e mediamente compatto; l’acino di medie dimensioni ha forma sferoidale e buccia di media consistenza e pruinosa; la foglia di dimensioni medie e pentagonale è tri o pentalobata. Di elevata vigoria e maturazione precoce.
La sua fama è stata soppiantata da varietà oggi più in auge come il Carricante e il Catarratto, ma in realtà è il vitigno più antico dell’Etna. Le sue origini sono sconosciute, ma è sicuramente autoctono della Sicilia: attualmente è coltivato in provincia di Catania e di Enna. Oltre che nella DOC (denominazione di origine controllata) Etna bianco, entra anche nell’uvaggio dell’Etna rosso, il cui disciplinare prevede l’impiego fino al 10% di uve a bacca bianca del territorio. Il suo grappolo è di grandezza medio-grande, alato e di forma piramidale; l’acino di dimensioni medio-grandi ha forma ellissoidale con buccia sottile; la foglia di medie dimensioni è pentagonale e penta o trilobata. Di bassa vigoria, ha maturazione media.
È conosciuto anche con altri due nomi questo vitigno a bacca bianca originario della Val d’Itria, in Puglia: Fiano Minutolo, da non confondere con il Fiano di Avellino, che è tutt’altra varietà, e Moscatellina, chiaro indizio della sua aromaticità. Essendo poco produttivo, è stato a lungo trascurato negli uvaggi delle DOC locali a favore della Verdeca o del Bianco di Alessano, ma attualmente è stato rivalutato ed è vinificato anche in purezza per dare origine a vini dall’intensa profumazione. Il suo grappolo è di grandezza media, mediamente compatto, spargolo e di forma piramidale; l’acino di medie dimensioni ha forma sferoidale e buccia spessa; la foglia di medie dimensioni è pentagonale e pentalobata. Di vigoria elevata e maturazione media.
I suoi acini hanno una buccia molto pruinosa (cioè rivestita da una spessa lanugine cerosa) e quindi il suo nome si riferisce al mulino, perché il grappolo sembra ricoperto da farina. Non è un vitigno destinato alla vinificazione in purezza, ma entra nella composizione di vini famosissimi e molto pregiati, come l’Amarone della Valpolicella, il Recioto della Valpolicella e le DOC (denominazione di origine controllata) Valpolicella. È un vitigno tipicamente veneto, diffuso in provincia di Verona. Il suo grappolo di medie dimensioni, mediamente compatto, è spargolo, con forma piramidale; l’acino di medie dimensioni ha forma sferoidale o ellissoidale e buccia spessa molto pruinosa; la foglia di dimensioni medio-grandi è cuneiforme e trilobata. Di moderata vigoria e maturazione media.
Ha forse un parente in America questo vitigno: alcuni studiosi, infatti, lo ritengono appartenere alla famiglia dell’uva Mission introdotta dai francescani in Messico e California nel Sei-Settecento. Sembra che sia stato importato in Sardegna intorno all’anno Mille dalla Spagna (anche se attualmente nella penisola Iberica non è presente) e coltivato dai monaci Camaldolesi nelle zone di influenza dei vari conventi. Oggi è il terzo vitigno a bacca nera più diffuso dell’isola ed è alla base delle DOC (denominazione di origine controllata) Monica di Sardegna, Cagliari e Mandrolisai. Il suo grappolo di medie dimensioni, mediamente compatto, è spargolo con forma cilindrica o conica; l’acino di medie dimensioni ha forma sferoidale o sub-sferoidale e buccia spessa molto pruinosa; la foglia di dimensioni medie è orbicolare e pentalobata. Di moderata vigoria e maturazione media.
Ecco un nome che sicuramente crea confusione nei non addetti ai lavori. Cerchiamo di fare chiarezza: il Montepulciano d’Abruzzo è un vitigno a bacca nera originario della regione e qui soprattutto coltivato e nulla ha a che vedere con il paese di Montepulciano in Toscana, dove è peraltro prodotto l’omonimo vino nobile, che però è a base di Sangiovese. Il vitigno abruzzese pare sia stato particolarmente apprezzato da Annibale quando attraversava l’Italia per combattere le guerre puniche. Il suo grappolo è di grandezza media, mediamente compatto o compatto, di forma conica o cilindrica; l’acino di medie dimensioni ha forma sub-ovoidale con buccia spessa molto pruinosa; la foglia di medie dimensioni è pentagonale e pentalobata. Di moderata vigoria e maturazione tardiva.
Un grande equivoco caratterizza questo vitigno: originario dell’Abruzzo, già nel Seicento è storicamente documentato nel territorio di Bisenti. Ma spesso viene confuso con la varietà chiamata Mantonico Bianco, che è invece un’altra uva, anch’essa a bacca bianca, benché il termine Bianco si riferisca all’omonima località calabrese dove è coltivato. Il Montonico bianco abruzzese per secoli è stato utilizzato per la produzione di uva da tavola e soltanto oggi si sta cercando di recuperare gli antichi vigneti e di rivalutare le sue qualità, grazie ad alcuni giovani produttori che credono nella valorizzazione dei vitigni autoctoni. Il suo grappolo è di grandezza media, compatto, di forma conica o cilindrica; l’acino di dimensioni medio-grandi ha forma sferoidale con buccia spessa e pruinosa; la foglia di dimensioni medio-grandi è pentagonale e pentalobata. Di buona vigoria, ha maturazione tardiva.
Introdotto in Spagna dai Fenici nel VI sec. a.C., ha trovato successivamente un ottimo terreno nella regione francese del Rossiglione e nella seconda metà dell’Ottocento in California e in Australia. Il suo nome deriva dall’antica denominazione della città di Sagunto, vicino a Valencia, anche se alcuni sostengono che il vitigno sia invece originario della zona di Barcellona, dove è chiamato Mataro (come del resto in California). In blend con Grenache e Syrah forma il cosiddetto GSM, tipico taglio di vini rossi della regione francese del Rodano. Il suo grappolo di dimensioni medio-grandi e compatto ha forma conica; l’acino di medie dimensioni ha forma sferoidale e buccia spessa e molto pruinosa; la foglia orbicolare è intera e trilobata. Di buona vigoria e maturazione media.
Ha destato l’attenzione anche di un guru dell’enologia mondiale come Jancis Robinson, ma in realtà in pochissimi lo conoscono. Questo vitigno a bacca bianca autoctono della Sardegna, il cui nome curiosamente ha probabilmente la stessa etimologia del Moscato, ovvero si riferisce al muschio a causa del suo profumo, è di origini antichissime e forse è stato introdotto dai Fenici. Oggi è coltivato esclusivamente nella zona di Cagliari e ha ottenuto anche una DOC (denominazione di origine controllata) dedicata. Il suo grappolo è di grandezza media, compatto, spargolo, di forma conica o cilindrica; l’acino di dimensioni medie ha forma sferoidale con buccia puntinata e pruinosa; la foglia di dimensioni medie è orbicolare e pentalobata. Di vigoria moderata, ha maturazione media.
Sembra di scorgerlo affiorare dalle nebbie delle colline piemontesi il vitigno che porta questo nome. Ma in realtà è controversa l’origine del termine: potrebbe anche derivare dalla fitta peluria (la cosiddetta pruina) che ricopre i suoi acini. In ogni caso ama cambiare nome, perché nel vercellese-novarese si chiama Spanna, in Valle d’Aosta Picoutener e in Valtellina Chiavennasca. È uno dei vitigni più nobili e celebri, anche perché dà origine al re dei vini, il Barolo, oltre ad altri quali Barbaresco, Gattinara e Ghemme. Le sue prime citazioni documentate risalgono al Duecento. Il suo grappolo è di grandezza media, compatto o mediamente compatto, di forma piramidale; l’acino di medie dimensioni ha forma sferoidale con buccia sottile; la foglia è pentagonale e trilobata. Di vigoria moderata o elevata, ha maturazione tardiva.
Un nome che dice tutto sulle caratteristiche di questo vitigno, tipico della Puglia e recentemente diventato famoso anche vinificato in purezza. La sua uva è molto scura e di sapore amarognolo; ma alcuni studiosi asseriscono che la seconda parola in realtà sia “mauro”, ovvero nero in greco. Essendo molto versatile, quest’uva è utilizzata anche per la produzione di ottimi rosati. Il suo grappolo di medie dimensioni e compatto ha forma conica; l’acino di dimensioni medio-grandi ha forma obovoidale e buccia spessa e pruinosa; la foglia di grandi dimensioni e pentagonale è tri o pentalobata. Di elevata vigoria e maturazione media.
Il cappuccio del nome deriva dalla sua forma di allevamento, ovvero l’alberello, mentre il nerello fa riferimento al colore scurissimo degli acini. Come l’altro Nerello, il Mascalese, è un vitigno autoctono della Sicilia, soprattutto della zona di Catania e Messina, ma coltivato anche in Calabria, nei territori di Reggio e Catanzaro. Sempre insieme al suo omonimo rientra nel disciplinare di produzione della DOC (denominazione di origine controllata) Etna rosso, per regalare a questi vini colore intenso e delicatezza di profumi. Il suo grappolo è di grandezza media, compatto, di forma conica o cilindrica; l’acino di dimensioni medio-piccole ha forma sferoidale con buccia spessa e pruinosa; la foglia di dimensioni medio-grandi è cuneiforme e trilobata. Di buona vigoria, ha maturazione tardiva.
Un’uva evidentemente di colore molto scuro e coltivata originariamente in località Mascali in provincia di Catania: ecco spiegato il nome. È un vitigno tipico della Sicilia (ma presente anche in Calabria) che ha il suo terreno d’elezione sulle pendici dell’Etna e in parte nella provincia di Messina; allevato fino a 1000 metri di altezza con la forma ad alberello, ma oggi anche con il cordone speronato. Il suo grappolo di dimensioni medie è compatto, di forma cilindrica o conica; l’acino di piccole o medie dimensioni ha forma ellissoidale o sferoidale, con buccia spessa e pruinosa; la foglia di dimensioni medie o grandi e pentagonale è cuneiforme e trilobata. Di moderata vigoria e maturazione tardiva.
È conosciuto anche come Calabrese, benché sia autoctono della Sicilia. Oltre a essere vinificato in purezza, rientra nel disciplinare dell’unica DOCG (denominazione di origine controllata e garantita, la più alta secondo la legislazione italiana) siciliana, il Cerasuolo di Vittoria. A volte è allevato ancora con l’antico sistema ad alberello. Il suo grappolo di medie dimensioni è compatto o mediamente compatto con forma conica; l’acino di medie dimensioni ha forma ovoidale o ellissoidale e buccia di medio spessore; la foglia di grandi dimensioni e orbicolare è intera. Di elevata vigoria e maturazione media.
Figlio minore della grande famiglia dei Nerelli (come il Mascalese e il Cappuccio), questo vitigno a bacca nera è coltivato principalmente nella provincia di Messina, ma anche di Catania, Siracusa e Ragusa, e rientra in DOC (denominazione di origine controllata) sia siciliane, come Faro e Mamertino, che calabresi, come Bivongi e Isola di Capo Rizzuto. Era probabilmente già noto in epoca romana e la sua diffusione è continuata nei secoli, tanto che si trovano viti molto antiche nella tradizionale forma ad alberello, sempre nel messinese. Il suo grappolo è di medie dimensioni, mediamente compatto, di forma conico-cilindrica; l’acino di medie dimensioni ha forma ellissoidale con buccia spessa e molto pruinosa; la foglia di medie dimensioni è pentagonale e trilobata. Di vigoria moderata, ha maturazione media.
Nasce in un luogo magico questo vitigno: un castello in mezzo al lago. La zona di Toblino e di Lavis in Trentino è, infatti, la patria di queste uve destinate a produrre il vin santo tipico di questa regione. Ma è anche vinificato in purezza per produrre una DOC (denominazione di origine controllata) ferma e secca. Il suo nome che significa nocciola si riferisce al profumo del vino che se ne ricava, oppure alla croccantezza e al colore dei suoi acini. Una curiosità: è coltivato su terrazzamenti chiamati “frate”. Il suo grappolo di medie dimensioni, mediamente compatto, è spargolo con forma cilindrica o conica; l’acino di medie dimensioni ha forma sferoidale o sub-sferoidale e buccia spessa molto pruinosa; la foglia di dimensioni medie è orbicolare e pentalobata. Di moderata vigoria e maturazione medio-tardiva.
Non è lusinghiera l’origine del suo nome, perché pare significasse semplicemente “altre uve”. Un vitigno, allevato sui colli piacentini, tenuto quindi in poca stima e considerato generalmente adatto soltanto ai vini da taglio: ma da qualche decennio, grazie alla lungimiranza di alcuni produttori, è stato rivalutato e viene vinificato in purezza con ottimi risultati. Divenuto uno dei bianchi famosi della regione Emilia Romagna, lo si vede sempre più spesso sia negli scaffali delle enoteche, sia nelle fiere specializzate. Il suo grappolo è compatto, lungo, di forma conica o cilindrica; l’acino di medie dimensioni ha forma sferoidale e buccia spessa e pruinosa; la foglia di grandi dimensioni e reniforme è trilobata. Di elevata vigoria e maturazione medio-tardiva.
Chi sa riconoscere le sfumature dialettali della lingua italiana capisce subito che questo vitigno a bacca nera non può che provenire dal Veneto. Il suo nome si riferisce alla predilezione che hanno gli uccellini (oseleti) per i suoi dolci acini. Quasi totalmente abbandonato, dagli anni Settanta del secolo scorso è stato recuperato e spesso, anche se non è direttamente menzionato nel disciplinare, rientra nell’uvaggio di due vini molto rinomati: l’Amarone e il Recioto della Valpolicella. Il suo grappolo è piccolo, compatto, di forma cilindrico-piramidale; l’acino di dimensioni medie ha forma obovoidale con buccia spessa; la foglia di dimensioni piccole è pentagonale e pentalobata. Di vigoria elevata, ha maturazione media.
È pugliese, ma il suo nome deriva dalla città campana di Ottaviano, dalla quale è stato importato a fine Ottocento dal marchese di Bugnano. Ma probabilmente le sue origini sono francesi e in effetti Oltralpe esiste un vitigno a bacca nera chiamato Cinsault che è proprio il nostro Ottavianello: e poiché è un giramondo, si trova anche in Sudafrica dove è chiamato Hermitage ed entra in uvaggio col Pinot nero per creare il vino Pinotage. Il suo grappolo è di grandezza media, compatto, di forma piramidale; l’acino di medie dimensioni ha forma ellisso-ovoidale con buccia pruinosa; la foglia di medie dimensioni è pentagonale e pentalobata. Di vigoria moderata e maturazione media.
Era il vino preferito dai Borbone, la dinastia regnante dell’Italia meridionale, ed era già conosciuto in epoca romana, però ha attraversato un lungo periodo di oblio, soprattutto dopo l’epidemia di fillossera. Spesso era confuso con l’Aglianico e con la Coda di volpe. Oggi il “rotondetto”, questo il significato del nome di questo vitigno che esiste sia in versione bianca che nera, è stato rivalutato ed è utilizzato per i vini della provincia di Caserta. Il suo grappolo è di grandezza media, compatto, di forma cilindrica; l’acino di piccole dimensioni ha forma sferoidale con buccia puntinata; la foglia di dimensioni medio-grandi è pentagonale e tri o pentalobata. Di vigoria elevata e maturazione tardiva.
Sono proprio i passeri che danno il nome a questo vitigno, perché pare siano ghiotti della sua uva. Diffuso in Abruzzo, Lazio, Emilia-Romagna e Marche, oggi è vinificato in purezza per ottenere dei vini sempre più apprezzati dai consumatori, dopo essere caduto a lungo nell’oblio e spesso sostituito dal Trebbiano toscano. Il suo grappolo di grandi dimensioni e spargolo è mediamente compatto con forma conica o piramidale; l’acino di medie dimensioni ha forma sferoidale e buccia spessa e pruinosa; la foglia di medie dimensioni e pentagonale è pentalobata. Di elevata vigoria e maturazione tardiva.
Piaceva molto alle pecore, oppure anche ai pastori che le accompagnavano durante la transumanza, quest’uva a bacca bianca: ma ora il vino che se ne ricava piace molto anche ai consumatori. Tipico dell’Abruzzo e delle Marche, ma coltivato anche in Umbria e Lazio, è attestato ad Arquata del Tronto fin dal Duecento. Il suo grappolo di medie dimensioni e mediamente compatto è spargolo con forma conica o cilindrica; l’acino di dimensioni medio-piccole ha forma sferoidale e buccia sottile e pruinosa; la foglia di dimensioni medio-piccole e orbicolare è intera o trilobata. Di vigoria medio-bassa e maturazione precoce.
Il Saluzzese è la zona del Piemonte che ha dato origine a questo vitigno a bacca nera, il cui nome deriva dal latino “pellis virga” e fa riferimento alla pratica di spellare i ramoscelli della vigna per favorire la maturazione. Il vino che se ne ottiene, da consumare giovane, è di perfetto accompagnamento a un piatto tipico della cucina piemontese, molto noto negli anni Ottanta e oggi ingiustamente dimenticato, il vitello tonnato, perché la sua delicata tannicità contrasta la cremosità della salsa. Il suo grappolo è di dimensioni medio-grandi, compatto, di forma conico-piramidale; l’acino di grandi dimensioni ha forma ellissoidale con buccia spessa e molto pruinosa; la foglia di dimensioni medio-piccole è pentagonale e pentalobata. Di vigoria moderata, ha maturazione medio-tardiva. Esiste anche il Pelaverga Piccolo coltivato soltanto nel territorio di Verduno, sempre in provincia di Cuneo, e riconosciuto come varietà autonoma soltanto negli anni Novanta del secolo scorso.
Rientra spesso nella vinificazione di un vino molto celebre, il Marsala, ma pochi lo conoscono: chiamato anche Perricone nero o Pignatello, è un vitigno autoctono della Sicilia. Nell’Ottocento era la varietà più diffusa sull’isola, ma poi è stato progressivamente abbandonato in quanto particolarmente sensibile agli attacchi della fillossera. Oggi è stato recuperato e viene vinificato sia in blend con Nero d’Avola, sia per ottenere il Marsala rubino, sia in purezza per vini speziati e tannici da accompagnare a piatti di carne. Il suo grappolo è di grandezza media, compatto, di forma conico-piramidale; l’acino di dimensioni medie ha forma sferoidale con buccia di grande spessore e pruinosa; la foglia di medie dimensioni è pentagonale e intera. Di notevole vigoria, ha maturazione media.
È chiamato anche “vite dei ghiacciai” per la sua attitudine a essere allevato anche a notevoli altitudini. Infatti, è tipico della Valle d’Aosta, come il Prié blanc col quale forse è imparentato. Ma vi è invece chi ritiene che sia stato importato in Italia dalla regione svizzera del Vallese. Il nome petite (piccolo in francese) fa proprio riferimento alle piccole dimensioni dei suoi acini. Il suo grappolo di medie dimensioni e compatto ha forma piramidale; l’acino di piccole dimensioni ha forma sferoidale e buccia sottile e pruinosa; la foglia di dimensioni medio-grandi è orbicolare o pentagonale. Di moderata vigoria e maturazione tardiva.
Un tipico esempio di viticoltura “eroica”: le vigne che producono quest’uva, infatti, si arrampicano a grandi altezze nella regione italiana montuosa per eccellenza, la Valle d’Aosta. Presente in zona sicuramente dall’epoca romana, è riuscito a sopravvivere al periodo di abbandono dovuto alle invasioni barbariche ed è stato rivalorizzato dai monaci nel Medioevo: sembra che esistano piante antichissime ancora produttive. Molti lo considerano il miglior vitigno a bacca nera della Valle d’Aosta. Il suo grappolo di medie dimensioni, mediamente compatto, ha forma piramidale; l’acino di piccole dimensioni ha forma sferoidale e buccia sottile molto pruinosa; la foglia di dimensioni medie è tri o pentalobata. Di elevata vigoria e maturazione media.
È la zampa del piccione il piede rosso a cui si fa riferimento nel nome di questo vitigno, che localmente è chiamato anche Per’ e palummo: infatti, il tralcio quando giunge a maturazione assume quest’aspetto. Probabilmente si tratta dell’uva Colombina di cui parla anche Plinio il Vecchio, ma quello che è certo è che si diffuse tra Otto e Novecento in Campania, in particolare nell’Avellinese e nel Napoletano, nella zona del Vesuvio e del monte Somma; oggi è coltivato anche nelle provincie di Caserta e Salerno. A volte vinificato in purezza, è spesso invece in blend con Aglianico e Sciascinoso in diverse etichette locali. Il suo grappolo di medie dimensioni è spargolo con forma piramidale; l’acino di dimensioni medio-grandi ha forma sferoidale e buccia spessa e pruinosa; la foglia di dimensioni medie è orbicolare e tri o pentalobata. Di moderata vigoria e maturazione medio-precoce.
Uno dei vitigni a bacca nera tipici del Friuli-Venezia Giulia, da non confondersi con la Pignola, una varietà poco diffusa autoctona della Valtellina, in Lombardia. È antico e nuovo allo stesso tempo: le sue origini, infatti, si fanno risalire al Medioevo, quando venne coltivato dai monaci dell’abbazia di Rosazzo, ma fu poi a lungo abbandonato, a causa della sua scarsa resistenza alle malattie, per essere valorizzato soltanto negli anni Ottanta del secolo scorso e rientrare nella DOC Colli Orientali del Friuli nel 1995. Il suo grappolo è corto e compatto, di forma cilindrica; l’acino di piccole dimensioni ha forma sferoidale con buccia spessa e molto pruinosa; la foglia di piccole dimensioni è pentalobata o trilobata. Di vigoria moderata, ha maturazione tardiva.
Un enigma per molti secoli questo vitigno, spesso confuso con lo Chardonnay: ma ora gli studiosi di ampelografia hanno stabilito definitivamente che si tratta di una mutazione genetica del Pinot nero, quindi di origine francese. È un vitigno internazionale diffuso ovunque, dall’Europa agli Stati Uniti, anche se raggiunge i migliori risultati in Alsazia. In Italia è coltivato soprattutto in Friuli, in Trentino-Alto Adige e in Lombardia ed essendo particolarmente adatto alla spumantizzazione è alla base di pregiati spumanti di queste regioni. Il suo grappolo è corto, compatto e di forma cilindrica; l’acino di piccole o medie dimensioni ha forma sferoidale e buccia sottile; la foglia di dimensioni medie è orbicolare e trilobata. Di moderata vigoria e maturazione media o precoce.
È una mutazione genetica del Pinot nero, ma ha saputo sviluppare una personalità tutta sua, tanto da creare diversi vini molto alla moda. Soprattutto in Italia, dove ha attecchito in Veneto, in Friuli e in Trentino-Alto Adige; ma è conosciuto anche in Alsazia come Pinot gris, in Germania come Rulaender e in una piccola zona della Valle d’Aosta come Malvoisie. Può essere vinificato in bianco, oppure lasciato a macerare con le bucce per assumere la caratteristica colorazione ramata. Il suo grappolo è corto, compatto e di forma cilindrica; l’acino di piccole dimensioni ha forma ovoidale e buccia sottile e pruinosa; la foglia di dimensioni piccole è cuneiforme e trilobata. Di moderata vigoria e maturazione media o precoce.
Si dice che allevare questo vitigno sia come educare un bambino ribelle, per le difficoltà che pone sia in vigna che in cantina: ma proprio per questo dà grandi soddisfazioni ai produttori e agli amanti del vino. Originario della regione francese della Borgogna, ha attecchito in tutto il mondo: in Italia, per esempio, soprattutto in Lombardia nell’Oltrepò Pavese, negli Stati Uniti in Oregon. Dà origine a vini rossi di grande prestigio (come il Romanée-Conti), ma è famoso soprattutto perché con Chardonnay e Pinot Meunier è alla base dello Champagne. Il suo grappolo è corto, compatto e di forma cilindrica; l’acino di piccole o medie dimensioni ha forma sferoidale e buccia sottile e pruinosa; la foglia di dimensioni medie è orbicolare o trilobata. Di moderata vigoria e maturazione precoce.
È un vitigno che attecchisce bene anche ad altitudini elevate e infatti è diffuso in Valle d’Aosta. Probabilmente vi è stato introdotto nel Seicento da coloni provenienti dal Vallese o dalla Savoia ed è uno dei pochi esistenti a essere risultato immune alla fillossera. Conosciuto anche con il nome di Blanc de Morgex, è vinificato in purezza per ottenere sia vini fermi che spumanti: in particolare rientra nel disciplinare della DOC (denominazione di origine controllata) Valle d’Aosta Blanc de Morgex et de la Salle. Il suo grappolo di medie dimensioni ha forma conica o cilindrica; l’acino di dimensioni medio-piccole ha forma sferoidale e buccia sottile poco pruinosa; la foglia di dimensioni medio-piccole è tri o pentalobata. Di media vigoria e maturazione precoce.
Il significato del suo nome che ci porta alla mente la preistoria in realtà si riferisce alla maturazione molto precoce di questo vitigno a bacca nera, tanto che la vendemmia a volte avviene a fine agosto. Importato in Puglia dagli Illiri sei o sette secoli prima di Cristo, era così apprezzato in questa zona che i vitigni giunti successivamente dalla Grecia e molto amati nel resto del sud Italia, qui non ebbero successo; venne commercializzato anche in tutto il Mediterraneo dai Fenici. Il suo grappolo è di grandezza media, mediamente compatto o compatto, di forma conica o cilindrica; l’acino di medie dimensioni ha forma sferoidale con buccia di medio spessore molto pruinosa; la foglia di medie dimensioni è pentagonale e pentalobata. Di moderata vigoria e maturazione precoce.
Un piccolo pugno: è la forma del grappolo che dà il nome a questo vitigno a bacca nera coltivato in Toscana. La sua storia è sconosciuta: si sa che proviene dalla zona di Grosseto, poiché è stato scoperto e studiato qualche decennio fa in Maremma, e che forse ampelograficamente è simile al Montepulciano d’Abruzzo, ma è una varietà autonoma. Attualmente, nell’ambio della rivalutazione dei vitigni autoctoni, comincia a essere vinificato in purezza, sia in versione rossa che rosata, e rientra in alcune etichette IGT toscane. Il suo grappolo è di piccole dimensioni, mediamente compatto, di forma piramidale; l’acino di medie dimensioni ha forma sferoidale con buccia spessa molto pruinosa; la foglia di medie dimensioni è pentagonale e pentalobata. Di buona vigoria, ha maturazione media.
Prende il nome proprio dal colore della base del raspo il principale rappresentante della famiglia dei Refoschi, vitigni a bacca nera tipici del Friuli-Venezia Giulia, ma oggi coltivati anche in Veneto. Fu addirittura Louis Pasteur nell’Ottocento a selezionare i migliori vitigni della varietà Refosco dal peduncolo rosso, che peraltro era già conosciuto in epoca romana. Il suo grappolo di medie dimensioni è mediamente compatto e spargolo con forma piramidale; l’acino di grandi dimensioni ha forma sferoidale e buccia spessa e pruinosa; la foglia di grandi dimensioni e orbicolare o pentagonale è trilobata. Di elevata vigoria e maturazione medio-tardiva.
In realtà è di origine francese e in tedesco (per distinguerlo dal Riesling renano) è chiamato Welshriesling, utilizzando il prefisso che significa “di origine latina”. In Italia è apparso agli inizi del Novecento, importato nelle regioni del Nord all’epoca dell’Impero austro-ungarico. Le caratteristiche ampelografiche dei due vitigni differiscono, ma soprattutto sono diversi i vini che se ne ottengono, l’italico più beverino, il renano più aristocratico. Il suo grappolo è compatto e corto con forma cilindrica; l’acino di dimensioni medio-piccole ha forma sferoidale e buccia sottile e pruinosa; la foglia di medie dimensioni e orbicolare è intera o trilobata. Di elevata vigoria e maturazione media.
È il vitigno nazionale tedesco: nato e principalmente coltivato appunto sul Reno. Ma è diffuso anche in Austria, Ungheria, Slovenia, Croazia, Francia e Italia (Trentino-Alto Adige, Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Oltrepò Pavese). Nel Bel Paese è stato importato soltanto tra fine Ottocento e inizio Novecento e non deve essere confuso con il Riesling italico. Ha una curiosa caratteristica: i vini che da esso si ricavano hanno un inconfondibile aroma di idrocarburi. Il nome forse deriva da “Reissende Tiere”, che significa animali selvatici, in riferimento ai vitigni selvatici poi addomesticati. Il suo grappolo corto e conico ha forma piramidale; l’acino di piccole dimensioni ha forma obovoidale e buccia puntinata di media consistenza; la foglia di medie dimensioni e orbicolare è trilobata. Di elevata vigoria e maturazione tardiva.
Il suo colore è scuro come le ali delle rondini e da tale caratteristica deriva il suo nome. Vitigno tipico della provincia di Verona, le sue origini sono sconosciute e gli ampelografi l’hanno ufficialmente classificato soltanto alla fine dell’Ottocento. Entra nell’uvaggio di diverse denominazioni venete molto note: Bardolino, Valpolicella, Amarone e Recioto della Valpolicella. Il suo grappolo è di grandezza media e mediamente compatto, di forma piramidale; l’acino di dimensioni medie ha forma sferoidale con buccia spessa e pruinosa; la foglia di dimensioni medio-grandi è pentagonale e pentalobata. Di vigoria notevole, ha maturazione media.
Difficile dire a che cosa si riferisca il nome: forse a rocche per indicare che predilige terreni impervi, forse a un monastero di San Rocco non più esistente dove alcuni monaci lo avevano impiantato. Potrebbe essere originario della Spagna o della Francia: ora comunque è un vitigno a bacca nera tipico del Monferrato e sempre più apprezzato tanto da aver meritato una DOCG (denominazione di origine controllata e garantita, la più alta secondo la legislazione italiana) per il vino omonimo. Il suo grappolo di dimensioni medie è mediamente compatto, spargolo, di forma cilindrica o conica; l’acino di medie dimensioni ha forma sferoidale e buccia spessa e poco pruinosa; la foglia di medie dimensioni e pentagonale è tri o pentalobata. Di vigoria medio-elevata e maturazione medio-precoce.
Associato alla Romagna anche a causa di una celebre canzone folcloristica italiana, in realtà questo vitigno dà i suoi risultati migliori in Toscana, con un vino apprezzato in tutto il mondo: il Chianti. Controversa l’origine del nome: da Sangue di Giove derivato dal Monte Giove vicino a Santarcangelo di Romagna, oppure dalla località di San Giovanni Valdarno, o ancora dalla festa di san Giovanni. È citato per la prima volta nel Cinquecento e ha due varietà, Sangiovese grosso (chiamato anche Brunello o Prugnolo gentile) e Sangiovese piccolo. Il suo grappolo è di grandezza media, compatto, di forma cilindrica o piramidale; l’acino di medie o grandi dimensioni ha forma ovoidale con buccia pruinosa; la foglia di medie dimensioni è trilobata o pentalobata. Di vigoria elevata e maturazione tardiva.
I neofiti devono fare attenzione, perché possono confondere questo vitigno a bacca bianca con il Cabernet sauvignon a bacca nera, ma essi in comune hanno soltanto il termine “sauvignon” che in francese significa selvaggio. Originario della zona di Bordeaux, è un vitigno internazionale che curiosamente è diventato il simbolo enologico della Nuova Zelanda; in Italia è allevato soprattutto in Friuli e in Alto Adige. Il suo grappolo è di dimensioni medie, compatto e di forma cilindrica; l’acino di medie o grandi dimensioni ha forma sub-sferoidale e buccia spessa, puntinata e pruinosa; la foglia di dimensioni medie è orbicolare e tri o pentalobata. Di elevata vigoria e maturazione media o precoce.
È proprio quello che sembra: il nome significa schiava, anche se vi è dibattito tra gli studiosi sul motivo di quest’appellativo. Chi dice che le viti venissero “schiavizzate” legandole a un supporto, chi afferma che venissero potate drasticamente e chi infine sostiene che siano state portate da popolazioni slave. Comunque è uno dei vitigni tipici del Trentino e coltivato anche in Veneto e Lombardia. Si distinguono la Schiava Gentile, la Schiava Grossa, la Schiava Grigia e la Schiava Nera. Il suo grappolo di dimensioni medie è spargolo; l’acino di medie dimensioni ha forma sub-sferoidale e buccia pruinosa di medio spessore; la foglia di medie dimensioni e orbicolare è trilobata. Di elevata vigoria e maturazione media.
È molto conosciuto anche con il suo sinonimo Ribolla nera ed è tipico del Friuli-Venezia Giulia. Alla fine dell’Ottocento ha rischiato di scomparire, ma ha resistito e ora, come sta accadendo a molti vitigni autoctoni in Italia, è stato rivalorizzato da alcuni produttori lungimiranti. Il suo grappolo di grandi dimensioni e mediamente compatto ha forma cilindrica; l’acino di medie dimensioni ha forma ellissoidale e buccia spessa molto pruinosa; la foglia di dimensioni medio-grandi e pentagonale è tri o pentalobata. Di discreta vigoria e maturazione medio-tardiva.
Una grande ambiguità grava su questo vitigno, che spesso viene confuso con l’Olivella nera. Gli studi ampelografici hanno dimostrato che si tratta di due varietà diverse, ma ancora un disciplinare, quello della DOC (denominazione di origine controllata) Vesuvio, lo indica come “detto localmente Olivella”. Comunque si tratta di uno dei vitigni autoctoni della Campania più antichi, citato già da Plinio il Vecchio, e sopravvissuto all’epidemia causata dalla fillossera che a metà dell’Ottocento estinse diverse specie. A volte vinificato in purezza, è spesso invece in blend con Aglianico e Piedirosso, altri vitigni locali. Il suo grappolo di medie dimensioni è compatto o mediamente compatto con forma conica; l’acino di dimensioni medio-piccole ha forma ovoidale e buccia spessa; la foglia di dimensioni medie è pentagonale ed eptalobata. Di moderata vigoria e maturazione medio-precoce.
Come si può intuire dal suono del suo nome, è originario di St. Emilion, una delle zone vitivinicole nei dintorni di Bordeaux. Ma attualmente è diffuso in tutto il mondo, dal Sud America all’Australia, dalla Nuova Zelanda al Sudafrica (dove era la varietà più coltivata nell’Ottocento). Insieme al Sauvignon blanc è nell’uvaggio del Sauternes, uno dei vini passiti più pregiati, proprio perché è particolarmente predisposto a essere attaccato dalla muffa nobile che dà origine all’appassimento dell’uva. Il suo grappolo di dimensioni medie e compatto o mediamente compatto ha forma conica; l’acino di medie dimensioni ha forma sferoidale e buccia spessa e pruinosa; la foglia di dimensioni medio-grandi è tri o pentalobata. Di moderata vigoria e maturazione media.
Decisamente simpatica l’origine del nome di questo vitigno a bacca nera: letteralmente significa “carica l’asinello”. A indicare la sua grande produttività. Probabilmente di origini dalmate, è allevato in Puglia, soprattutto nel Brindisino. A lungo dimenticato, ultimamente, in seguito alla riscoperta dei vitigni autoctoni, viene utilizzato in uvaggio con Negramaro e Malvasia nera di Brindisi, ma a volte anche in purezza per produrre vini dai sentori fruttati e speziati. Il suo grappolo è di grandezza media, compatto, di forma piramidale; l’acino di dimensioni medio/piccole ha forma sferoidale con buccia di medio spessore e pruinosa; la foglia di medie dimensioni è pentagonale e pentalobata. Di vigoria moderata, ha maturazione media.
Uno dei vitigni nordici per eccellenza: originario della valle del Reno in Germania, oppure della regione austriaca della Stiria, è diffuso, oltre che in queste zone, anche nell’Alsazia francese e nell’Italia del nord, in Alto Adige, in particolare nella valle dell’Isarco. Il suo nome preciso, che deriva dal termine latino “silva”, che significa bosco e si riferisce chiaramente alle foreste dell’Europa centrale, è Sylvaner verde: un tempo si pensava che fosse invece nato in Transilvania per l’assonanza del suo nome con questa regione della Romania. Il suo grappolo corto e compatto è di forma cilindrica; l’acino di medie dimensioni ha forma sferoidale ovoidale e buccia pruinosa; la foglia di piccole dimensioni e orbicolare è trilobata. Di elevata vigoria e maturazione medio-precoce.
Un nome esotico per questo vitigno a bacca nera che, infatti, molti ritengono originario della città persiana di Shiraz, mentre altri lo collegano alla città siciliana di Siracusa. Oggi è una varietà internazionale diffusa in tutto il mondo, dall’Italia (dove è stato reintrodotto nell’Ottocento proveniente dalla Francia), alla Francia, dove dà il meglio di sé nella valle del Rodano, fino al Sudafrica e alla California; curiosamente è diventato il simbolo enologico dell’Australia dove è proprio conosciuto come Shiraz. Il suo grappolo di grandezza media è compatto, spargolo e di forma cilindrica; l’acino di piccole o medie dimensioni ha forma ovoidale con buccia sottile e molto pruinosa; la foglia di dimensioni medie o grandi è pentagonale e tri o pentalobata. Di elevata vigoria e maturazione media.
Il suo nome deriva da tannino e questo la dice tutta sulla potenza di quest’uva quando viene vinificata. Originario del sud-ovest della Francia, è stato introdotto in Sudamerica nell’Ottocento e oggi è diventato il simbolo enologico dell’Uruguay, dove addirittura è utilizzato in purezza, mentre nella sua patria europea è sempre in uvaggio con altri. Questo è possibile perché il clima uruguayano, molto caldo e con lunghe ore di insolazione, smorza l’aggressività dei tannini. Il suo grappolo di dimensioni medio-grandi e compatto ha forma cilindrica; l’acino di dimensioni medie ha forma sferoidale e buccia spessa e pruinosa; la foglia di grandi dimensioni e pentagonale è intera e tri o pentalobata. Di elevata vigoria e maturazione media.
Non lascia dubbi sulle sue caratteristiche il nome di questo vitigno: infatti, tazzelenghe in dialetto friulano significa “taglialingua”, quindi non ci si può aspettare che un sapore molto deciso dal vino che se ne ricava, dovuto ad alta acidità unita a notevole tannicità. È uno dei molti vitigni autoctoni che costellano la penisola italiana che sono stati dimenticati e che oggi vengono rivalutati e spesso vinificati anche in purezza per ottenere prodotti molto interessanti. Il suo grappolo di dimensioni medie è compatto o mediamente compatto, di forma cilindrica; l’acino di dimensioni medie o grandi ha forma sub-sferoidale e buccia pruinosa; la foglia di medie dimensioni e pentagonale è trilobata. Di elevata vigoria e maturazione tardiva.
Chi lo direbbe mai che è il secondo vitigno più coltivato al mondo (dopo il suo conterraneo bianco Airén)? Quest’uva spagnola, della regione della Rioja, era già conosciuta in epoca medievale quando veniva impiegata dai monaci per il vino da offrire ai pellegrini che si recavano a Santiago de Compostela, però sicuramente oggi non è molto nota al di fuori della Penisola Iberica. È presente anche in Italia, in Alto Adige, Toscana e Lazio. Il suo nome deriva dal vocabolo spagnolo “temprano” che significa presto, con riferimento alla sua maturazione precoce. Il suo grappolo di grandi dimensioni è compatto o mediamente compatto; l’acino di medie dimensioni ha forma irregolare e buccia spessa; la foglia di grandi dimensioni è orbicolare. Di elevata vigoria e maturazione precoce.
Appartiene alla famiglia dei Refoschi, tanto che il suo territorio di elezione è il Friuli-Venezia Giulia, ma è presente anche in Emilia Romagna e Marche. Classificato soltanto alla metà del Novecento, le sue origini sono probabilmente molto più antiche: è diffuso anche in Slovenia, però con il nome di Refosk, mentre Teran è il vino che se ne ricava. In tedesco invece Teer significa catrame, il che la dice lunga sulla struttura di questo vino, e ai tempi dell’Impero austro-ungarico era indicato per curare l’anemia, in quanto ricco di ferro. Il suo grappolo è di grandi dimensioni, mediamente compatto, alato e di forma piramidale; l’acino di medie dimensioni ha forma ellissoidale con buccia molto pruinosa; la foglia di dimensioni medio-grandi è pentagonale e trilobata. Di media vigoria, ha maturazione media.
È un nome che sicuramente ai più dice poco, ma invece è un vitigno a bacca bianca da tenere in considerazione e che sta prendendo sempre più piede. Molto coltivato in Piemonte nella zona di Novi Ligure e Tortona, era diffuso anche nel Genovese, nel Pavese e nel Vogherese prima dell’epidemia ottocentesca di fillossera: ora è stato rivalutato e appare sempre più spesso in enoteche e ristoranti. Il suo grappolo di medie dimensioni e mediamente compatto ha forma conica o piramidale; l’acino di medie dimensioni ha forma sferoidale o ellissoidale e buccia spessa e pruinosa; la foglia di medie dimensioni e pentagonale è pentalobata. Di elevata vigoria e maturazione medio-precoce.
Un vitigno spagnolo che ha trovato la sua casa ideale in Sardegna, dove è stato introdotto durante la dominazione catalana. Coltivato nella zona di Alghero, dove è conosciuto anche come Turbat o Uva catalana, è diffuso anche in Portogallo e Francia con il nome di Malvoisie du Roussillon. Rientra nel disciplinare della DOC (denominazione di origine controllata) Alghero per la produzione di vini bianchi secchi o spumanti metodo Charmat. Il suo grappolo è di grandezza media, compatto, di forma conica o cilindrica; l’acino di dimensioni medio-piccole ha forma sferoidale con buccia spessa; la foglia di dimensioni medie è orbicolare e tri o pentalobata. Di vigoria moderata, ha maturazione media.
È proprio la famosa città cantata da Omero la patria di questo vitigno, poi importato in Puglia dai Greci che colonizzarono il sud Italia; anche se qualcuno afferma che potrebbe essere originario della località albanese di Cruja. Viene chiamato anche Nero di Troia, a causa del colore molto scuro dei suoi acini. Benché fosse apprezzato anche dall’imperatore Federico II di Svevia, fino a poco tempo fa non era vinificato in purezza, ma soltanto mischiato con altre uve per dare maggior colore ai vini ottenuti. Il suo grappolo è compatto, lungo e di forma piramidale; l’acino di medie dimensioni ha forma sferoidale e buccia spessa e pruinosa; la foglia di medie dimensioni è pentagonale e pentalobata. Di elevata vigoria e maturazione media.
Il nome è fuorviante, perché in realtà questo è un vitigno a bacca nera molto diffuso in Lombardia e Piemonte. Inoltre, è fuorviante anche perché spesso questo termine viene usato per indicare la Croatina, altro vitigno tipico della zona ma di una varietà totalmente diversa, e come sinonimo di Bonarda, che invece è il nome di un vino piemontese e di un altro vitigno lombardo-piemontese. Sbrogliata l’intricata matassa, si può apprezzare il vino che si ricava dall’Uva rara, sia in purezza, sia soprattutto in uvaggio con altre varietà locali, che danno origine anche a DOC (denominazione di origine controllata) come Buttafuoco e Gattinara. Il suo grappolo di dimensioni piccole o medio-piccole è spargolo e di forma conica; l’acino di medie dimensioni ha forma sferoidale e buccia spessa e pruinosa; la foglia di grandi dimensioni e pentagonale è pentalobata. Di buona vigoria e maturazione medio-tardiva.
È stato un santo a portarlo in Lombardia: pare, infatti, che l’irlandese san Colombano nel VII secolo, oltre a fondare l’omonimo monastero sul fiume Lambro, oggi in provincia di Milano, abbia introdotto anche questo vitigno, il cui nome naturalmente fa riferimento al colore degli acini. Il novelliere del Trecento Francesco Sacchetti cita un’uva Sancolombana che dovrebbe essere proprio la Verdea. Il suo grappolo di dimensioni medie è spargolo con forma piramidale o conica; l’acino di medie dimensioni ha forma sub-sferoidale e buccia spessa e pruinosa; la foglia di medie dimensioni e pentagonale è tri o pentalobata. Di buona vigoria e maturazione media.
Una delle numerose varietà il cui nome si riferisce al colore verde dell’uva: è il vitigno a bacca bianca più diffuso in Puglia, dove probabilmente è stato introdotto dai Greci più di duemila anni fa. Recenti studi hanno dimostrato che è esattamente lo stesso vitigno chiamato Pampanuto. Solitamente utilizzato in blend con altre uve, ultimamente viene valorizzato dai produttori locali che lo vinificano anche in purezza con ottimi risultati. Il suo grappolo di dimensioni medie ha forma conica; l’acino di medie dimensioni ha forma sferoidale e buccia di medio spessore e pruinosa; la foglia di dimensioni medio-grandi e orbicolare è tri o pentalobata. Di elevata vigoria e maturazione medio-precoce.
Il suo nome inevitabilmente porta alla mente un famoso vitigno portoghese, il Verdelho, però pare che invece le due varietà non abbiano niente a che fare tra di loro. Anche perché storicamente non risulta alcun contatto tra l’isola di Madeira e la regione dell’Umbria dove è coltivato. È molto probabile, quindi, che sia autoctono, in particolare della zona di Orvieto, dove rientra nei disciplinari di diverse DOC (denominazione di origine controllata). Il suo grappolo di dimensioni medie e compatto ha forma piramidale; l’acino di piccole dimensioni ha forma sferoidale e buccia spessa e pruinosa; la foglia di medie dimensioni e orbicolare è pentalobata. Di media vigoria e maturazione tardiva.
Se c’è un vitigno che si identifica con una regione è proprio questo: Verdicchio è sinonimo di Marche. L’origine del suo nome è evidente: il colore dell’uva. Una curiosità: è strettamente imparentato con il Trebbiano di Soave o Trebbiano di Lugana, tanto che si è ipotizzata una sua importazione in centro Italia da parte di cittadini veronesi sfuggiti a un’epidemia di peste alla fine del Quattrocento, visto che le prime notizie storiche risalgono al Cinquecento. Il suo grappolo è di grandezza media, mediamente compatto o compatto, di forma conica o cilindrica; l’acino di medie dimensioni ha forma sferoidale con buccia di medio spessore poco pruinosa; la foglia di medie dimensioni è pentagonale e trilobata o pentalobata. Di elevata vigoria e maturazione media o tardiva.
Un altro dei vitigni il cui nome si riferisce alla tonalità dell’acino, questo è tipico del Veneto. Probabilmente originario dei Colli Euganei, attualmente è invece diffuso nella zona di Conegliano Valdobbiadene e, infatti, rientra nei disciplinari di produzione del famoso Prosecco, insieme al vitigno principale, la Glera. I suoi acini sono predisposti all’appassimento e quindi il Verdiso si presta alla creazione di vini passiti. Il suo grappolo di dimensioni medie ha forma piramidale; l’acino di dimensioni medio-grandi ha forma ellissoidale e buccia sottile e pruinosa; la foglia di medie dimensioni e pentagonale è intera o trilobata. Di elevata vigoria e maturazione tardiva.
Un vitigno che mostra chiaramente i suoi spostamenti lineari nel corso della storia: lo si trova, infatti, in Liguria, in Corsica, in Sardegna e in Toscana. E forse è nato in Spagna o in Portogallo e da lì è passato nelle regioni francesi di Linguadoca e Rossiglione: un grande viaggiatore. Infine, pare sia imparentato con un altro vitigno a bacca bianca autoctono ligure, il Pigato, e con la Favorita tipica di Piemonte e Corsica. Il suo grappolo è di grandezza media, mediamente compatto, di forma conica o cilindrica; l’acino di medie o grandi dimensioni ha forma sferoidale o ellissoidale con buccia di medio spessore maculata; la foglia di medie o grandi dimensioni è pentagonale e pentalobata o addirittura eptalobata. Di moderata vigoria e maturazione media.
Non è l’unico vitigno cha fa riferimento alle vespe (esiste infatti anche la lombarda Vespolina), perché gli insetti amano molto l’uva: questo è tipico del Veneto, in particolare della provincia di Vicenza, dove entra nei disciplinari delle DOC (denominazione di origine controllata) Breganze Vespaiolo e Torcolato. La prima documentazione storica risale all’anno 1825 e si riferisce alla zona di Bassano e Marostica, ma probabilmente il vitigno è stato impiantato dai monaci benedettini già nel Trecento. Il suo grappolo corto e spargolo è mediamente compatto con forma cilindrica o conica; l’acino di dimensioni medie ha forma sferoidale con buccia spessa e molto pruinosa; la foglia di piccole dimensioni è orbicolare e trilobata. Di elevata vigoria e maturazione media.
Prediletto dalle vespe: ecco il significato del nome di questo vitigno tipico dell’Oltrepò Pavese (dove è conosciuto anche come Ughetta), ma coltivato anche in provincia di Como, Novara e Piacenza. È una delle vittime della fillossera, l’insetto che generò una malattia che a metà dell’Ottocento sterminò la maggior parte dei vitigni europei, perché da allora ha perso l’importanza che aveva precedentemente: è comunque ancora un’ottima uva che viene miscelata con altre, quali Barbera e Croatina, per dare vita a eccellenti vini. Il suo grappolo di dimensioni medie è compatto e di forma cilindrica o conica; l’acino di medie dimensioni ha forma ellissoidale e buccia sottile e pruinosa; la foglia di dimensioni medio-piccole è pentagonale e penta o eptalobata. Di moderata vigoria e maturazione media.
Portato dai Balcani nella valle del Rodano da un imperatore romano: origini nobili e antiche per questo vitigno a bacca bianca apprezzato da Marco Aurelio Probo, originario di Sirmio, località della Serbia. Il nome deriva dal vocabolo celtico “vidu” che significa bosco. A lungo dimenticato, ora sta tornando alla ribalta e anche vinificato in purezza dà ottimi risultati. Diffuso soprattutto in Francia, è coltivato anche in Italia (in Emilia-Romagna, Toscana, Lazio e Umbria), in California e in Australia. Il suo grappolo di dimensioni medie e compatto o mediamente compatto ha forma conica; l’acino di piccole dimensioni ha forma sferoidale e buccia spessa; la foglia di dimensioni medio-piccole è orbicolare e pentalobata. Di moderata vigoria e maturazione precoce.
È stato accertato definitivamente dagli studiosi che questo vitigno e il Primitivo sono la stessa varietà. Stupefacente, visto che uno vive in Puglia e l’altro in California: ma si sa che le strade prese dall’uva nel corso della storia (soprattutto dopo il flagello della fillossera a metà dell’Ottocento) sono tante e diverse. Lo Zinfandel è molto versatile: dà origine a vini rossi di corpo, a rosati leggeri, a novelli e, vinificato in bianco, anche a spumanti. Il suo grappolo è di grandezza media, mediamente compatto o compatto, di forma conica o cilindrica; l’acino di medie dimensioni ha forma sferoidale con buccia di medio spessore molto pruinosa; la foglia di medie dimensioni è pentagonale e pentalobata. Di buona vigoria e maturazione precoce.