VINI

AGLIANICO

Il più noto è quello del Vulture, DOCG (denominazione di origine controllata e garantita, la più alta secondo la legislazione italiana) della Basilicata, ma esiste anche quello del Taburno in Campania e il vitigno Aglianico è anche alla base del Taurasi, un altro vino campano. È stato importato dai Greci in Italia del sud all’epoca della Magna Grecia e il suo nome significa proprio Ellenico. Il colore è rosso rubino intenso; al naso si avvertono sentori di fiori, in particolare di viola, di frutti di bosco, pepe, cannella, chiodi di garofano e nelle versioni affinate in legno di cuoio e cacao; al palato conferma le note olfattive e ha notevole persistenza. È perfetto con piatti di carne e di selvaggina.

ALBANA DI ROMAGNA

Davvero affascinante la storia di questo vino: si racconta che Galla Placidia, figlia dell’imperatore Teodosio, di passaggio in questa zona della Romagna abbia esclamato che era così buono che si doveva berlo soltanto in tazze d’oro. E per questo il paese venne chiamato Bertinoro e l’Albana divenne famoso. Fino ai giorni nostri, tant’è vero che è stata la prima DOCG (denominazione di origine controllata e garantita, la più alta secondo la legislazione italiana) bianca d’Italia. Il colore è giallo paglierino con note dorate; al naso si avvertono sentori di frutta gialla, dalla pesca all’albicocca, alla mela golden, e a volte di fiori di campo e fieno; al palato presenta sapidità e acidità. È destinato all’abbinamento con pesce o carni bianche; le versioni dolci o amabili, a volte anche frizzanti, si accostano alla pasticceria secca.

ALEATICO PASSITO DELL’ELBA

Uno dei più classici vini da meditazione, è ricavato dall’omonimo vitigno che cresce sull’isola d’Elba, al largo delle coste toscane. Naturalmente Napoleone, il più illustre abitante di questi lidi, durante i suoi giorni di esilio non si lasciò sfuggire la possibilità di valorizzare al meglio il buonissimo Aleatico. Che probabilmente era di origine greca ed era stato impiantato dai Romani. Il colore è rosso rubino con possibili note aranciate a seconda del periodo di affinamento; al naso si avvertono sentori di mora, amarena e fichi, di confettura nelle versioni più invecchiate; al palato si confermano i sentori olfattivi, con notevole persistenza. È perfetto con dolci e pasticceria secca, nelle versioni più invecchiate anche con il cioccolato.

ALTA LANGA

Ingiustamente poco conosciuto dai consumatori e ancora poco valorizzato dai ristoratori, questo spumante prodotto con metodo classico è una delle DOCG (denominazione di origine controllata e garantita, la più alta secondo la legislazione italiana) del Piemonte. Il disciplinare prevede l’utilizzo di Pinot nero e Chardonnay con una permanenza sui lieviti di almeno 30 mesi: esiste anche in versione riserva, con rifermentazione di almeno 36 mesi, e rosata. Le province di provenienza delle uve sono Alessandria, Asti e Cuneo. Al naso propone i classici sentori di crosta di pane, ma anche di vaniglia e mimosa, al palato presenta un delicato equilibrio in un’intrigante bollicina. Ideale per accompagnare gli aperitivi e le entrée, ma perfetto anche a tutto pasto.

AMARONE DELLA VALPOLICELLA

Un nome fuorviante per uno dei vini più prestigiosi della penisola: il termine Amarone potrebbe ricordare un liquore digestivo oppure far pensare a una bevanda sgradevole. In realtà serve semplicemente a distinguerlo dal vino passito dolce della regione Veneto, il Recioto. Viene vinificato con le uve Corvina (e in parte Rondinella e Corvinone) che vengono fatte appassire secondo un disciplinare molto preciso. Si presenta con colore granato scuro anche con toni aranciati per le versioni più invecchiate; all’olfatto note di amarena, mirtillo, confettura e nei più invecchiati cacao, caffè, tabacco, cuoio; molto caldo e morbido, il retrogusto è di grande persistenza. L’Amarone è uno dei classici vini da meditazione e quindi va degustato da solo, però lo si può abbinare con importanti piatti di carne, di selvaggina e con formaggi di lunga stagionatura.

ARNEIS

In una terra di vini rossi quale il Piemonte spicca questo splendido vino bianco che viene prodotto nella zona chiamata Roero (di recente entrata nella lista dei beni Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco insieme a Langhe e Monferrato). Il nome del vitigno probabilmente deriva da un termine dialettale che indica persona ribelle, proprio come quest’uva difficile da coltivare. Il colore è giallo paglierino con riflessi verdolini; il bouquet presenta cedro e mela verde anche con note minerali e vegetali; al palato presenta sapidità e freschezza a volte con ricordi di nocciola. È perfetto con antipasti a base di pesce o verdure, con primi piatti a base di verdure, con secondi di pesce e crostacei.

ASTI

È forse lo spumante più noto in Italia, anche a chi non si intende di vini, e sicuramente il più conosciuto all’estero, ma proprio per questo merita un approfondimento. L’Asti è una DOCG (denominazione di origine controllata e garantita, la più alta secondo la legislazione italiana) dell’omonima provincia del Piemonte, il cui disciplinare prevede l’impiego esclusivo di uve Moscato bianco e la rifermentazione con il metodo Martinotti. Ma da qualche anno è consentito utilizzare anche il metodo classico, che ovviamente viene indicato in etichetta. L’Asti è uno spumante estremamente profumato, perché prodotto con un vitigno aromatico quale appunto il Moscato, e tradizionalmente dolce, cioè con un elevato residuo zuccherino: perfetto per accompagnare dessert e i classici dolci delle feste. Però, dal 2017 è entrato in commercio anche l’Asti “secco”, ovvero con un minore tenore di zucchero, che può essere abbinato anche ad aperitivi e portate salate.

BARBARESCO

Se il Barolo era definito il vino dei Re, il Barbaresco è invece il vino delle Regine: prodotto anch’esso da uve Nebbiolo, il vitigno tipico del Piemonte, è infatti meno potente rispetto al primo e quindi ritenuto più adatto al gusto femminile. È coltivato sulle colline delle Langhe nel territorio omonimo e la sua data di nascita ufficiale è il 1894 anche se in realtà era già conosciuto in epoca gallica. Il suo colore è rosso rubino tendente al granato; al naso presenta note floreali di rosa e di viola e fruttate di ciliegia e lampone, non freschi ma in confettura, e con l’invecchiamento sviluppa aromi terziari tra i quali caratteristico il tartufo, che peraltro è uno dei prodotti tipici della zona; al palato i tannini sono evidenti nei vini giovani e manifesta sempre grande persistenza. L’abbinamento ideale è con i piatti di carne, soprattutto selvaggina, come capriolo, quaglie o faraona, ma si presta perfettamente come vino da meditazione e può essere gustato da solo.

BARBERA

In Italia è uno dei vini da pasto più popolari ed è diventato protagonista anche di canzoni: in realtà non è così semplice e immediato come si potrebbe pensare, perché presenta mille sfaccettature. Assume, infatti, caratteristiche molto diverse a seconda delle zone in cui è coltivato il vitigno omonimo dal quale lo si ricava: Asti, Monferrato, Alba in Piemonte, Oltrepò Pavese in Lombardia. Come aveva capito anche il celebre poeta Giosuè Carducci che gli dedicò dei versi. All’esame visivo si presenta di un bel rosso rubino; all’olfattivo si avvertono sentori fruttati di mora e mirtillo, floreali di viola e rosa canina, speziati di liquirizia e pepe verde; se un tempo era piuttosto tannico, soprattutto da giovane, ora viene vinificato in modo tale da ottenere tannini molto morbidi. È destinato all’abbinamento con tutti i tipi di carne, pure il pollame, ed esalta anche i formaggi di media stagionatura.

BARDOLINO

Se si volesse citare il miglior rappresentante dei vini “beverini” sicuramente si dovrebbe scegliere proprio il Bardolino. È prodotto in Veneto nella zona del lago di Garda con il vitigno Corvina (e in parte Rondinella e Corvinone) probabilmente già dall’epoca romana o quantomeno medievale, anche se le prime menzioni storiche sono molto più recenti, risalendo all’Ottocento. Il colore è rosso rubino scarico, quasi rosa cerasuolo; i profumi vanno dalle fragoline di bosco, ciliegie e melograno alla rosa appassita e geranio; al gusto è un vino molto fresco, con tannini molto morbidi e alta acidità e sapidità. L’abbinamento ideale è con i primi piatti, dalle paste ai risotti, alle zuppe, e con i secondi di pesce soprattutto del Garda, ma anche con il bollito misto, che è un piatto tipico della zona.

BAROLO

Il re dei vini, il vino dei re: questa definizione si attaglia perfettamente al Barolo perché è uno dei vini più nobili del panorama enologico italiano e perché era bevuto dai sovrani d’Italia e di tutta Europa. Non a caso fu proprio il celeberrimo conte di Cavour, uno dei padri del Regno d’Italia, a inventare questo magnifico nettare, sorprendentemente insieme a una donna: Giulia Colbert Falletti. Vinificato da uve Nebbiolo, ha colore rosso rubino molto intenso; i profumi sono molteplici, dalla viola al lampone, dal cioccolato al pepe, fino a tabacco e cuoio; il gusto è naturalmente molto persistente e conferma i sentori olfattivi. È destinato all’invecchiamento, tanto che il disciplinare che lo regola prevede almeno tre anni di affinamento. Si abbina ai piatti di carne tipici del Piemonte, a cominciare dal brasato, e a tutti i tipi di selvaggina.

BIANCHELLO DEL METAURO

Bianchello il vino, Biancame il vitigno, allevato lungo il fiume Metauro nella provincia marchigiana di Pesaro-Urbino. È stata la prima DOC (denominazione di origine controllata) di questa provincia e una delle prime delle Marche ed è un vino che sta guadagnando sempre più popolarità grazie anche agli investimenti che si stanno facendo su vigne e filiera produttiva. Il colore è giallo paglierino con riflessi verdolini; al naso si avvertono sentori di fiori, in particolare tiglio, e frutta, soprattutto pesca bianca e agrumi, oppure albicocche secche e miele per le versioni passite; al palato presenta sapidità e freschezza. È perfetto con antipasti a base di pesce o verdure e con secondi di pesce o carni bianche.

BOLGHERI

Il nome deriva dalla zona della Toscana da cui proviene, ma l’uvaggio fa riferimento a una regione della Francia, quella di Bordeaux. Infatti, i vini di questa DOC (denominazione di origine controllata) sono dei classici tagli bordolesi, ovvero un blend di Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc, Merlot e Petit Verdot, cui da disciplinare si possono aggiungere in minima percentuale Syrah e Sangiovese. Nella denominazione Bolgheri rientrano vini leggendari come l’Ornellaia, che prende il nome dalla Tenuta dei Marchesi Antinori ora dei Marchesi de’ Frescobaldi, e il Sassicaia, al quale è riservata una DOC esclusiva, la Bolgheri Sassicaia, in quanto si tratta di un cru all’interno del territorio totalmente di proprietà della Tenuta San Guido dei Marchesi Incisa della Rocchetta. Da non dimenticare, infine, che esiste anche il Bolgheri DOC bianco, a base di Vermentino, o Trebbiano Toscano, o Sauvignon blanc.

BONARDA

Bisogna subito fare chiarezza: il vino chiamato Bonarda è tipico dell’Oltrepò Pavese in Lombardia ed è a base di Croatina. Il vitigno Bonarda è invece piemontese ed è utilizzato per produrre diversi vini DOC di quella regione. L’etimologia del nome viene fatta risalire a un patronimico longobardo visto che questo popolo nel Medioevo aveva come capitale proprio la città di Pavia. Il colore è rosso rubino intenso; al naso si avvertono note fruttate di ciliegia e mora e speziate di pepe nero; è caratterizzato da tannini leggeri e non invadenti, come tipico del vitigno omonimo, e il suo retrogusto varia a seconda delle versioni, ferme o frizzanti. Queste ultime si abbinano bene con crostate di frutta, mentre le ferme sono perfette con primi piatti di pasta e secondi di carne.

BRACHETTO D’ACQUI

Deriva da uno dei pochi vitigni aromatici esistenti: l’unico a bacca rossa, originario della zona di Asti e Monferrato, in Piemonte. La versione spumante ha incominciato ad avere rinomanza negli anni Cinquanta del Novecento, quando un produttore iniziò a utilizzare il metodo Martinotti Charmat. Una leggenda racconta che il Brachetto fosse un vino già conosciuto dai Romani che lo consideravano afrodisiaco e che persino Cleopatra lo bevesse. Il colore è rosso rubino intenso; essendo prodotto con uva aromatica, è un vino dai profumi molto intensi sia floreali, soprattutto rosa canina, che fruttati, dalla fragola alla pesca; al gusto conferma le note olfattive, soprattutto la rosa. Si abbina in particolare ai dolci: crostate di frutta e semifreddi.

BRUNELLO DI MONTALCINO

Il vino più famoso d’Italia nel nostro territorio e all’estero: merito della sua bontà, ma anche del marketing. Clemente Santi, che iniziò a sperimentare a metà Ottocento, e poi la sua famiglia Biondi Santi possono essere considerati gli inventori del Brunello, anche se vini rossi di qualità sono citati in zona già in epoca rinascimentale. È vinificato dall’omonimo vitigno, che in realtà è semplicemente una varietà di Sangiovese, il vitigno tipico della Toscana. Il colore è rosso rubino con riflessi granati; i profumi vanno da prugna, mora e mirtillo a rosa e viola, per giungere alle note speziate e balsamiche; di grande struttura e molto caldo, ha una lunga persistenza. L’abbinamento perfetto è con secondi di carne, anche agnello e selvaggina, ma è ottimo anche come vino da meditazione da degustare da solo.

BUTTAFUOCO

Se in nomen omen sicuramente questo vino non sarà leggero e beverino! Infatti, questa referenza dell’Oltrepò Pavese è potente e molto coinvolgente, come narra una leggenda: si dice che una compagnia di soldati austriaci imbarcati su una nave che risaliva il Po preferì passare il tempo a bere l’ottimo vino del luogo invece di guerreggiare contro gli italiani. E, infatti, sullo stemma del Club del Buttafuoco Storico è riprodotto un veliero. Esiste sia in versione ferma che frizzante e spumante ed è ottenuto da un uvaggio di Croatina e Barbera, con eventualmente una piccola percentuale di Uva rara e Vespolina, tutti vitigni tipici della zona. Il colore è un bel rosso intenso; al naso si avvertono sentori di viola e frutti rossi, soprattutto prugna; in bocca si percepiscono il corpo e l’alcolicità, ma risulta sempre equilibrato. L’abbinamento è con la gastronomia locale, che è molto ricca e varia, in particolare con i secondi di carne e di selvaggina.

CABERNET

Con questa denominazione si intende un vino che potrebbe essere Cabernet sauvignon in purezza oppure in blend con Cabernet Franc e quindi le sue caratteristiche possono variare molto. Infatti, può essere un prodotto fresco e giovane, oppure un vino sottoposto a lungo affinamento in legno. Il colore è rosso rubino intenso, con note violacee per i giovani e aranciate per gli invecchiati; al naso si avvertono sentori di frutta, soprattutto prugna, mora e ciliegia, ma la caratteristica dominante sono le note erbacee; al palato presenta tannini piuttosto aggressivi, che si ammorbidiscono con l’invecchiamento. È perfetto con salumi e secondi piatti a base di carni rosse e anche di selvaggina.

CANNONAU

Un nome che si ricorda e che è inequivocabilmente sardo: il Cannonau, anche se non è DOCG (denominazione di origine controllata e garantita, la più alta secondo la legislazione italiana), è indubbiamente il vino più noto della splendida isola. Ed è assolutamente da raccomandare: infatti, studi scientifici hanno dimostrato che la popolazione della Sardegna è tra le più longeve del mondo e pare che una delle cause di questa ottima salute sia l’abitudine di bere un bicchiere di Cannonau ogni giorno! All’esame visivo si presenta di colore rosso rubino piuttosto scarico; i profumi spaziano da ciliegia, prugna e mora a macchia mediterranea, pepe verde e fiori secchi nelle versioni più invecchiate; il gusto, dai tannini non troppo marcati, lascia una nota ammandorlata. Anche la versione rosata è decisamente gradevole, con sentori di rosa e viola e retrogusto floreale.

CARIGNANO DEL SUCIS

Tra mare e archeologia, questo vino nasce in una delle zone più suggestive della Sardegna, il Sulcis appunto, punteggiato dai resti della civiltà nuragica. Probabilmente diffuso dai Fenici in tutto il Mediterraneo (poiché il vitigno è presente anche nel sud della Francia, in Spagna e in Nord Africa) per diversi anni del secolo scorso è stato utilizzato come vino da taglio, ma più recentemente è iniziata la sua valorizzazione, grazie al ritorno di interesse per le vinificazioni in purezza dei vitigni autoctoni. Il colore è rosso rubino brillante; al naso si avvertono frutti di bosco, profumi di macchia mediterranea e qualche nota speziata; al palato presenta sapidità e freschezza con tannini gradevoli. Il suo abbinamento ideale è con primi piatti con sugo di carne, con agnello al forno, arrosti e brasati di manzo.

CARMIGNANO

L’antenato dei Supertuscan e delle Denominazioni: questo vino è davvero un precursore. Infatti, fin dal Seicento per vinificarlo si usavano Sangiovese e Cabernet insieme, come poi sarebbe avvenuto con i celebri Tignanello & Co., e nel 1716 il granduca Cosimo III de’ Medici emanò un bando che precisava esattamente i confini del territorio in cui era consentito produrlo, anticipando il concetto di DOC (denominazione di origine controllata). Oggi il disciplinare prevede l’utilizzo di Sangiovese, Cabernet Franc, Cabernet Sauvignon, Canaiolo nero e una piccola percentuale anche di Trebbiano Toscano, Canaiolo bianco e Malvasia del Chianti. La zona di produzione, vocata alla viticoltura fin dall’epoca etrusca, è in provincia di Prato, nei comuni di Carmignano appunto e di Poggio a Caiano, celebre anche per una splendida villa rinascimentale. Nel calice presenta un bel rosso rubino; al naso si avvertono sentori di viola mammola e frutta rossa; in bocca i tannini sono ben presenti, ma vengono domati con l’invecchiamento. L’abbinamento ideale è con le tipiche carni rosse toscane, ma è anche vino da meditazione.

CERASUOLO D’ABRUZZO

Il significato è proprio quello che sembra: la cerasa, ovvero la ciliegia, dà il nome a questo vino il cui colore ricorda la buccia del piccolo frutto. Un rosa quindi molto carico che identifica questa DOC (denominazione di origine controllata) del Centro Italia nel panorama dei rosati che stanno diventando (finalmente si potrebbe dire!) sempre più di moda. Il vitigno col quale si ottiene questo nettare è il Montepulciano d’Abruzzo, tipico appunto di questa regione, vinificato in rosato, ovvero con una sosta sulle bucce più breve rispetto ai rossi: fino al 2010 la produzione del Cerasuolo rientrava nel disciplinare del Montepulciano. I profumi, infatti, sono quelli caratteristici di quest’uva, dai frutti di bosco alla prugna e alla viola, con un prevalere naturalmente della ciliegia, mentre al palato i tannini sono più morbidi trattandosi di una versione rosata. L’abbinamento ideale è con piatti a base di pesce, soprattutto le zuppe, ma anche con carni bianche e formaggi semi stagionati.

CERASUOLO DI VITTORIA

Non inganni il nome: questo vino non è un rosato, ma un classico rosso. E riserva un’altra sorpresa: è l’unica DOCG (denominazione di origine controllata e garantita, la più alta secondo la legislazione italiana) della Sicilia. Ottenuto da uve Nero d’Avola e, in minor percentuale, Frappato, esclusivamente nel territorio di Vittoria, la località nel sud della Sicilia da cui prende il nome. Una zona in cui la viticoltura era fiorente già nell’antichità per poi svilupparsi soprattutto nell’Ottocento. Il colore è un rosso intenso che richiama la ciliegia; al naso si avvertono sentori fruttati, dalla ciliegia ai frutti neri freschi, e floreali di macchia mediterranea; al palato si confermano i ricordi olfattivi e non si avverte un eccesso di tannini, né di alcol. È perfetto l’abbinamento con piatti di pesce, ma anche con i tipici arancini siciliani, mentre le versioni più invecchiate si sposano bene anche con la carne.

CESANESE DEL PIGLIO

Un vino giovane, non perché sia novello, anzi, ma perché è noto da poco “al grande pubblico”, anche se il vitigno omonimo era già coltivato in epoca romana. E giovane perché soltanto recentemente (nel 2011) ha meritato addirittura di diventare DOCG (denominazione di origine controllata e garantita, la più alta secondo la legislazione italiana), una delle tre della regione Lazio e relativa per la precisione alla provincia di Frosinone. Il colore è rosso rubino; all’esame olfattivo si avvertono sentori di frutti di bosco, violetta e spezie; al palato presenta tannini non aggressivi e un finale ammandorlato. È destinato all’abbinamento con carni rosse arrosto o in umido, agnello, selvaggina e formaggi stagionati.

CHARDONNAY

Uno dei vini più famosi al mondo che sicuramente tutti hanno provato almeno una volta nella vita. Deriva dall’omonimo vitigno internazionale, di origine francese, ed è presente in tutto il mondo in infinite varianti. Molto apprezzato come vino fermo, è però soprattutto conosciuto nella sua versione spumante. Il colore è giallo paglierino; al naso si avvertono sentori di frutta, soprattutto mela, pera e pesca fino ad ananas e frutto della passione, mentre nelle versioni affinate in legno appaiono vaniglia, cuoio, caffè e frutta secca; al palato conferma le note olfattive con grande freschezza. È perfetto con antipasti e primi piatti a base di pesce o verdure e con secondi di pesce o carni bianche.

CHIANTI

Se chiedete a un astemio di citare un vino sicuramente dirà: Chianti. È infatti il primo rosso che viene alla mente, anche a chi assolutamente non se ne intende, tra le centinaia di varietà enologiche che costellano la nostra penisola. Così ammirato che è anche stato molto conteso nel corso della sua storia: oggi esiste il Chianti Classico, etichetta che designa esclusivamente i vini prodotti nella zona della Toscana che porta questo nome, e il Chianti, che comprende altri territori nelle provincie di Siena, Firenze, Arezzo, Pisa, Pistoia e Prato. Il simbolo del primo è un galletto nero, fin dal Duecento insegna della Lega del Chianti costituita a Firenze tra i produttori di vino rosso a base di Sangiovese. Il suo colore è rosso rubino intenso; il profumo che lo identifica è la viola mammola insieme ai frutti rossi e a note speziate per le versioni invecchiate; la tannicità è ammorbidita dall’invecchiamento. L’abbinamento ideale è con la splendida cucina toscana a base soprattutto di carne.

CIRÒ

Il vino della Magna Grecia: potremmo definirlo così il Cirò, tipico di una zona, quella di Crotone in Calabria, che era il cuore del territorio colonizzato dai Greci. Prodotto con il vitigno Gaglioppo nella versione rossa o rosata, esiste anche in versione bianca, vinificata con Greco di Bianco. Il colore del Cirò rosso è rosso rubino; al naso si avvertono sentori di frutta, soprattutto ciliegia, note balsamiche di resina e ricordi di liquirizia; al palato conferma le note olfattive con tannini decisi. È perfetto con piatti a base di carni rosse, ma anche con faraona o vitello.

CORTESE

A volte viene chiamato Gavi, il nome della località piemontese dove è coltivato il vitigno Cortese. Ora piuttosto diffuso in ristoranti ed enoteche, è stato riscoperto, dopo un lungo periodo di oblio, da Mario Soldati, uno scrittore appassionato delle tradizioni popolari e dell’enogastronomia italiane. Esiste in versione ferma, frizzante e spumante. Il colore è giallo paglierino; al naso si avvertono sentori di frutta, dalle mele alla frutta esotica, al cedro, di fiori, quali biancospino, glicine e gelsomino, fino a note balsamiche di ginepro; al palato presenta sapidità e freschezza. È perfetto con antipasti a base di pesce o verdure, con primi piatti a base di verdure, con secondi di pesce e crostacei.

CUSTOZA

Una tra le prime DOC (denominazione di origine controllata) italiane, riconosciuta nel 1971, chiamata anche Bianco di Custoza, è composta da: Garganega, Trebbiano Toscano, Trebbianello (un biotipo del Friulano), Bianca Fernanda (un clone del Cortese) e in minor percentuale Malvasie, Riesling italico, Pinot bianco, Chardonnay, Manzoni bianco. Può quindi variare molto a seconda delle scelte di uvaggio fatte dal produttore, ma mantiene sempre le caratteristiche del territorio, con un microclima influenzato dalla vicinanza del lago di Garda che, grazie alle notevoli escursioni termiche tra il giorno e la notte e tra l’estate e l’inverno, dona intensa aromaticità. Il colore è giallo paglierino; al naso presenta sentori fruttati di pesca e ananas e floreali di tiglio; in bocca è fresco e sapido, a volte con finale ammandorlato. L’abbinamento ideale è con gli antipasti e con i primi piatti a base di pesce e verdure.

DOLCETTO

Non è dolce, come potrebbero pensare i neofiti: anzi, è un classico vino rosso secco di buona struttura. Però probabilmente il vitigno da cui si ricava è stato chiamato così proprio per differenziarlo dal vitigno tipico del Piemonte, il Nebbiolo, che è molto più robusto. Il colore è rosso rubino molto intenso, a volte impenetrabile; al naso è molto complesso, con note di ciliegia, mora, prugna, fragola, lampone, mirtillo, violetta, rosa rossa e ciclamino; al palato i tannini sono piuttosto morbidi e lascia un finale ammandorlato. È un vino da tutto pasto, dai primi piatti con sughi anche di carne ai secondi di carni bianche, ai formaggi di media stagionatura.

ETNA

Studi di settore hanno rilevato che questa tra le denominazioni italiane è una delle più conosciute all’estero. In realtà, non si tratta di un unico vino, ma di un’etichetta che identifica vini provenienti esclusivamente dal territorio del vulcano siciliano, sia bianchi che rossi, che rosati: l’Etna bianco è prodotto con uve Carricante, il rosso e il rosato con Nerello Mascalese, ma possono entrare nei blend anche altri vitigni allevati in zona, quali Catarratto e Nerello Cappuccio. Esiste anche la versione spumante da Nerello Mascalese. Il bianco è fresco e sapido con note agrumate e si abbina a risotti e piatti di pesce; il rosso è corposo con intensi sentori fruttati e si sposa perfettamente con carni alla griglia; lo spumante naturalmente può essere gustato a tutto pasto.

FALANGHINA

Uno dei piaceri di un soggiorno in Campania è la possibilità di degustare questo vino, che esiste nella versione del Sannio e in quella dei Campi Flegrei. Curiosamente non rientra tra le quattro DOCG (denominazione di origine controllata e garantita) di questa regione, pur essendo il suo vino più noto (misteri della legislazione italiana). Forse era il vino conosciuto dagli antichi Romani come Falerno bianco del Gauro e decantato da Orazio, Virgilio e Cicerone. Il colore tipico è giallo paglierino con riflessi verdolini; i profumi vanno dalla mela verde, pera e banana al sambuco e alla ginestra; al gusto conferma i sentori olfattivi e lascia anche una decisa nota di mineralità dovuta al terreno vulcanico. Si abbina agli aperitivi come alle minestre, alle carni bianche come al pesce e naturalmente, vista la sua provenienza, c’è anche chi lo consiglia con la pizza margherita.

FALERNO DEL MASSICO

Era il vino più rinomato nell’antica Roma, tanto che si diceva che lo stesso Bacco avesse impiantato le viti alle pendici del monte Massico per ricompensare la generosità di un contadino di nome Falernus, mentre adesso non ha certamente la stessa notorietà. Invece meriterebbe una maggiore attenzione e non soltanto nella regione di provenienza, ovvero la Campania: prodotto esclusivamente in provincia di Caserta, esiste in versione bianca, a base di Falanghina; rossa, a base di Aglianico e Piedirosso; e infine anche con la denominazione Primitivo, che deve contenere almeno l’85% di questo vitigno. Divenuto DOC (denominazione di origine controllata) nel 1989, il Falerno si sposa perfettamente con i piatti della tradizione locale: in versione bianca con le specialità della cucina marinara campana, mentre in versione rossa con le lasagne al ragù e i secondi di carne, ma è ideale anche come vino da meditazione.

FIANO DI AVELLINO

Una delle due DOCG (denominazione di origine controllata e garantita, la più alta secondo la legislazione italiana) bianche della Campania, deriva dal vitigno omonimo, importato dai Greci: conosciuto con il nome di Vitis apina (perché amato dalle api), poi modificato in Apiana, Afiana, Fiano. Era apprezzato anche alle corti di Federico II di Svevia e di Carlo II d’Angiò, per avere poi un boom nell’Ottocento e un momento di crisi produttiva nella seconda metà del Novecento. Il colore è giallo dorato; all’olfatto si avvertono diversi sentori fruttati, dalle pere all’ananas, e floreali di acacia, fino a nocciole e miele; al palato si avvertono noci tostate e mandorle amare. Si abbina perfettamente ai piatti di pesce e crostacei, di carni bianche e pollame; è perfetto come vino da aperitivo, ma anche come accompagnamento alla piccola pasticceria e ai formaggi erborinati.

FRANCIACORTA

Questa zona della Lombardia in provincia di Brescia non ha nulla a che vedere con la Francia, ma il suo nome deriva dal latino medievale “curte franca” che indicava la sua esenzione dal dazio. A onor del vero, però, diversi storici fanno risalire l’etimologia anche al passaggio dei Franchi o degli Angioini. Ma questo poco importa ai fini dell’enologia: oggi invece il termine, anche all’estero, è diventato sinonimo di spumante italiano prodotto col metodo classico (quello che un tempo veniva chiamato champenois). Da uve Pinot nero e Chardonnay, ed eventualmente una percentuale di Pinot bianco, si ottengono infatti deliziosi calici di bollicine che hanno avuto un tale successo che dagli iniziali pochissimi produttori degli anni Sessanta del secolo scorso oggi i vignaioli franciacortini sono diventati ben più di cento. Inutile dire che lo spumante Franciacorta è un vino da tutto pasto.

FRAPPATO

Non è facile trovarlo vinificato in purezza perché solitamente si accompagna al Nero d’Avola per ottenere in particolare l’unica DOCG (denominazione di origine controllata e garantita, la più alta secondo la legislazione italiana) della Sicilia: Cerasuolo di Vittoria. L’omonimo vitigno è coltivato in provincia di Siracusa e di Ragusa e probabilmente è stato importato dalla penisola Iberica nel Settecento. Il colore è rosso rubino chiaro; il bouquet dei profumi rivela frutti di bosco e amarena, con note minerali; al palato presenta tannini non aggressivi e conferma le note olfattive. È un vino molto versatile e piacevole da bere che si presta a diversi abbinamenti, da antipasti e primi piatti a secondi sia di carne che di pesce.

FRASCATI

Sicuramente è il vino italiano più conosciuto dagli amanti della letteratura ottocentesca: infatti, i protagonisti di un romanzo ambientato nell’Italia di un paio di secoli fa prima o poi si bevono una buona bottiglia di Frascati, soprattutto se sono a Roma. Proprio per questo invece tra gli intenditori è sempre stato considerato un vinello di poca sostanza: ora non è più cosi, tanto che nella versione Superiore ha meritato una DOCG (denominazione di origine controllata e garantita, la più alta secondo la legislazione italiana). Si presenta con un intenso giallo paglierino dai riflessi dorati; i profumi estremamente marcati ricordano addirittura la frutta tropicale e l’uva passa, perché le uve che lo compongono sono le aromatiche Malvasie accanto al vitigno Trebbiano; anche il retrogusto è molto persistente. Si può considerare un vino da tutto pasto.

FREISA

Sicuramente non è uno dei vini italiani più noti: però in Piemonte è ampiamente diffuso e apprezzato. È il classico vino rosso dai tannini molto evidenti se vinificato in versione ferma. Un tempo, però era proposto esclusivamente in versione frizzante, per creare un vino da tavola da bere tutti i giorni analogo al Lambrusco e alla Bonarda. Il colore è rosso rubino; al naso si avvertono sentori di fragola, lampone e rosa, con note minerali e speziate; al palato è piuttosto tannico, soprattutto se ancora giovane. Si abbina a salumi, primi piatti anche con sughi di carne e secondi a base di carni bianche e rosse.

FRIULANO

Ha dovuto cambiare nome per legge: in seguito a un’annosa causa intentata e vinta dall’Ungheria contro l’Italia quello che si era sempre chiamato Tocai ha dovuto essere ribattezzato Friulano, dal nome della regione di provenienza. Infatti, il nome Tocai era ritenuto troppo simile all’ungherese Tokaji, anche se si tratta di due vini completamente diversi, tra l’altro uno bianco e l’altro rosso. Il colore è giallo paglierino intenso; la caratteristica aromatica di questo vino è la mandorla amara, ma si avvertono anche mela, pera, susina, pesca, e tra i fiori biancospino, ginestra, camomilla, acacia, fino alla frutta tropicale per le versioni più invecchiate; al palato presenta freschezza e acidità e naturalmente un finale ammandorlato. È destinato all’abbinamento con pesce o carni bianche ed è perfetto come vino da aperitivo.

GATTINARA

Forse non tutti sanno che il Nebbiolo assume diversi nomi a seconda della zona in cui è allevato: nel Piemonte del nord si chiama Spanna ed è alla base del Gattinara. Il cui nome si riferisce però al comune, in provincia di Vercelli, in cui è vinificato. Sempre un po’ in disparte rispetto ai fratelli maggiori Barolo e Barbaresco, con una produzione di bottiglie e un areale estremamente limitati, e anche per questo poco diffuso in ristoranti ed enoteche rispetto ad altre etichette, è pur sempre un’eccellenza vinicola italiana. Nel calice presenta un bel rosso intenso; al naso si avvertono sentori di rosa e viola e successivamente speziati; al palato si confermano i ricordi olfattivi e si avvertono tannini potenti, che si attenuano con l’invecchiamento al quale questo nettare è certamente destinato. L’abbinamento ideale è con i risotti, che sono il piatto tipico della zona, e le carni rosse, anche di selvaggina.

GEWÜRZTRAMINER

Il suo nome significa letteralmente vino aromatico di Termeno, un paese dell’Alto Adige. In pieno Medioevo era molto conosciuto, ma poi è stato un po’ dimenticato: oggi invece è uno dei vini più amati. I suoi profumi inconfondibili, la piacevolezza del gusto lo rendono una delle etichette più ordinate al ristorante e forse anche i non intenditori sono in grado di apprezzarlo. Il colore è giallo paglierino brillante; al naso si presenta ovviamente molto complesso perché deriva da un vitigno aromatico, quindi note di frutta anche tropicale, erbe come timo e origano, spezie dalla cannella alla noce moscata, alla liquirizia; gli stessi sentori si confermano anche al palato e ne risultano sensazioni di bassa acidità e alta alcolicità. Si abbina a pesce e carni bianche, ma vista la sua aromaticità molti lo consigliano con i piatti della cucina orientale.

GRECHETTO

Importato dai Greci in Italia quando colonizzarono la Magna Grecia, il vitigno da cui si ricava questo vino (tipico di Umbria, Toscana e Marche) è vinificato sia in purezza che in uvaggio con altri, per ottenere diverse DOC. Poiché ne esistono due cloni, probabilmente in futuro col semplice termine Grechetto si designerà il Grechetto di Orvieto, che è la varietà più diffusa, mentre il Grechetto di Todi si chiamerà Grechetto Gentile. Il colore è giallo paglierino; al naso si avvertono sentori di frutta, dalla pera alla pesca, fino alla frutta esotica, di fiori, dall’acacia al biancospino, al sambuco, infine di nocciola e mandorla amara; al palato è fresco e sapido con finale ammandorlato. È un vino molto versatile e, poiché si può presentare anche in versione passita, si abbina a tutti i piatti di pesce, sia primi che secondi, ai formaggi a pasta molle, a carni bianche, ma anche a sughi a base di cinghiale, a formaggi stagionati ed erborinati e ai dolci.

GRECO DI TUFO

Una delle due DOCG (denominazione di origine controllata e garantita, la più alta secondo la legislazione italiana) bianche della Campania, è prodotto dal vitigno omonimo importato dai Greci nel I secolo a.C. Significativo il commento che ne fece Plinio il Vecchio: “Era così pregiato che nei banchetti veniva versato solo una volta”. Il colore è giallo paglierino; all’olfatto si avvertono note di mela, gelsomino ed erbe aromatiche; al palato è fresco e sapido, con note agrumate e minerali e finale ammandorlato. Si sposa con piatti di pesce e crostacei e con le carni bianche, ma anche con risotti e formaggi non stagionati; nella versione spumantizzata è perfetto come aperitivo.

GRIGNOLINO

Citato da esperti e non tra i vini tradizionali del Piemonte, si differenzia dai tipici rossi corposi e tannici di questa regione. Infatti, è leggero di colore e di struttura: potrebbe quasi essere paragonato a un rosato (se non si avesse paura di essere tacciati di eresia) e infatti risulta perfetto come aperitivo, cosa impossibile per i classici vini rossi. Il colore è rosso rubino scarico; al naso si avvertono profumi non molto intensi di mora, lampone, rosa canina e salvia; al palato presenta sapidità e ha un finale ammandorlato. È molto versatile, tanto che si può accostare anche al pesce, benché l’abbinamento ideale sia con salumi, omelette e carni bianche.

GUTTURNIO

È decisamente un vino storico: pare sia stato inventato addirittura dal suocero di Giulio Cesare, Lucio Calpurnio Pisone, la cui famiglia era originaria dell’attuale Emilia. E la sua nobiltà gli è stata giustamente riconosciuta visto che è stato uno dei primi vini a ricevere la Denominazione di Origine Controllata. Il suo nome deriva da “gutturnium”, una coppa d’argento di circa due litri. Il colore è rosso rubino; al naso si avvertono note fruttate e floreali, dalla marasca alla viola, e nelle versioni più invecchiate anche speziate; è caratterizzato da tannini poco aggressivi, come tipico del vitigno Barbera col quale è prodotto, ed è molto diverso al gusto a seconda del tipo di vinificazione, se ferma o frizzante, o addirittura spumante. L’abbinamento ideale è con salumi, carni bianche e formaggi poco stagionati.

LACRIMA DI MORRO D’ALBA

Il riferimento alle lacrime non deve infondere tristezza, ma si riferisce semplicemente alla caratteristica del vitigno omonimo di ricoprirsi di goccioline di succo, poiché la buccia dell’acino si fessura facilmente. Mentre Morro d’Alba è il paese in provincia di Ancona in cui viene prodotto: fonti storiche asseriscono che questo vino fu apprezzato da Federico Barbarossa nel 1167 proprio quando assediava questa località marchigiana. All’esame visivo si presenta di un rosso rubino intenso; all’olfattivo si avvertono sentori di frutta rossa e nelle versioni passite anche floreali di viola; le note fruttate persistono anche al gusto, in particolare nei passiti con sapore di frutta sciroppata. Il suo abbinamento ideale è con salumi e carni bianche, con formaggi erborinati e pasticceria secca nelle versioni passite.

LACRYMA CHRISTI

Non sono i vitigni che definiscono questo vino, ma il territorio da cui proviene e soprattutto le leggende che lo circondano. Si dice, infatti, che Cristo pianse quando vide che Lucifero aveva scagliato un pezzo di cielo nel golfo di Napoli, ma anche che Gesù trasformò in eccellente vino la scadente bevanda di un eremita. La storia invece racconta che già i Romani apprezzavano i vini del Vesuvio e che la produzione venne continuata in epoca medievale dai monaci e più tardi dai Gesuiti. Esiste in versione bianca, a base di Coda di volpe, Falanghina, Verdeca e Greco, e in versione rossa o rosata, a base di Piedirosso, Sciascinoso e Aglianico. Il bianco ha profumi di pesca e ananas e floreali, che si confermano al palato; si abbina con piatti di pesce e di verdura, mentre nella versione spumantizzata è perfetto come aperitivo. Il rosso ha sentori di piccoli frutti rossi e spezie, al naso è ben equilibrato con tannini non invadenti; si abbina a primi e secondi a base di carne.

LAGREIN

Non è soltanto rosso questo vino: il vitigno omonimo, infatti, può essere vinificato anche in bianco e in rosato. Tipico dell’Alto Adige, il suo nome significa semplicemente proveniente dalla valle Lagarina in provincia di Bolzano. Il colore è rosso rubino molto intenso, a volte impenetrabile; al naso è molto complesso, con mirtillo, mora, prugna, amarena, prugna, frutta sciroppata, viola, rosa rossa e note balsamiche di menta ed eucalipto; al palato conferma le note olfattive con tannini piuttosto presenti. L’abbinamento ideale è con le carni rosse e la selvaggina.

LAMBRUSCO

Uno dei vini più noti e consumati in Italia, uno dei simboli dell’Emilia-Romagna, non ha però finora meritato neanche una DOCG (denominazione di origine controllata e garantita, la più alta secondo la legislazione italiana). È frizzante e infatti fondamentale per il suo successo è stata l’introduzione nel Settecento della bottiglia borgognona con il vetro che resisteva all’esuberanza delle bollicine. Il colore è rosso rubino con note violacee; al naso è più intenso che complesso, con ciliegia, mora, lampone, rosa rossa e note speziate di pepe nero e chiodi di garofano; al palato presenta sapidità e freschezza. Come spesso accade è perfetto nell’abbinamento con i piatti della regione di provenienza, come lo zampone e il cotechino, i lessi e i salumi.

LUGANA

Proviene dalle soleggiate rive del lago di Garda e la relativa DOC (denominazione di origine controllata) si divide tra Lombardia e Veneto, ma forse ha parenti anche nelle Marche: infatti, il vitigno dal quale si ricava questo vino, chiamato Trebbiano di Soave o Trebbiano di Lugana o Turbiana, è probabilmente un Verdicchio. Ai wine lover però quello che interessa è che si tratta di un bianco gradevolissimo ultimamente sempre più diffuso in ristoranti ed enoteche. Il colore è giallo paglierino talvolta con sfumature dorate; al naso presenta sentori di frutta soprattutto tropicale o di agrumi; in bocca denota ottima struttura e persistenza con finale agrumato. Perfetto per un aperitivo, si sposa perfettamente con secondi di carni bianche e con pesce di lago.

MALVASIA BIANCA

Sono diffusi in tutta la penisola i vini con questo nome: la Malvasia delle Lipari Passito è la più famosa, ma non sono da meno l’emiliana Malvasia di Candia Aromatica, la lombarda Malvasia dell’Oltrepò Pavese, la Malvasia Istriana e la Malvasia di Sardegna. Il nome deriva dalla città greca di Monemvassia, nel Peloponneso, ma nel Medioevo il vino era prodotto soprattutto a Creta e a Rodi. Il colore è giallo paglierino con sfumature dorate; all’esame olfattivo si avvertono sentori di albicocche e pesche, con miele nelle versioni passite; al palato note floreali e muschiate per le versioni ferme, miele e mandorle per le passite e liquorose. Le versioni ferme e secche sono ideali come aperitivo, le passite e liquorose con pasticceria secca o da soli come vini da meditazione.

MALVASIA NERA

Se la versione bianca è la più nota, esiste anche quella ricavata da vitigni a bacca nera, meno aromatici. Le principali sono: Malvasia nera di Brindisi, Malvasia nera di Lecce, Malvasia di Casorzo d’Asti anche passita, Malvasia nera di Schierano. Il nome deriva dalla città greca di Monemvassia, nel Peloponneso, ma nel Medioevo il vino era prodotto soprattutto a Creta e a Rodi. Il colore è rosso rubino; al naso si avvertono sentori di lampone e melograno, muschio e ortica; al palato si presentano freschezza e sapidità, con tannini morbidi. Le versioni ferme e secche sono ideali con primi piatti o con secondi a base di carni bianche, le passite e liquorose con pasticceria secca o da soli come vini da meditazione.

MAMERTINO

Oggi ai più questo nome non dice nulla, ma un antico Romano avrebbe speso fior di sesterzi per averne un’anfora. Il Mamertinum (che prende il nome dal popolo che abitava nel territorio messinese) è uno dei vini più antichi e celebri del Mediterraneo, citato da Strabone, Marziale, Plinio il Vecchio, ma apprezzato soprattutto da Giulio Cesare, che ne parla nel suo “De bello gallico” e lo scelse per il brindisi al suo terzo consolato. Recentemente ha ricevuto finalmente l’onore di una sua DOC (denominazione di origine controllata), Mamertino di Milazzo o semplicemente Mamertino, il cui disciplinare prevede l’utilizzo di Nero d’Avola e Nocera per il rosso e Grillo, Inzolia e Catarratto per il bianco. L’abbinamento ideale naturalmente è con i piatti della cucina siciliana, quindi primi e secondi di pesce per il bianco e portate a base di carne per il rosso.

MARSALA

Esistono tanti Marsala: pur prendendo tutti il nome dalla città siciliana, possono essere vinificati con vitigni Grillo, Inzolia, Catarratto, Damaschino, Carricante, Nero d’Avola, Nerello Mascalese e con diversi procedimenti di affinamento. Rientra nella categoria dei vini liquorosi o fortificati, perché alla fine della fermentazione è addizionato di alcol o acquavite. Il colore quindi può essere sia giallo dorato o ambrato che rosso rubino sempre molto intenso; i profumi sono quelli tipici della splendida isola, quali zagare, ginestra, fichi; al palato si confermano i sentori olfattivi, con notevole persistenza e spiccata alcolicità. Se non lo si beve da solo come vino da meditazione, l’abbinamento ideale è con pasticceria secca, dolci anche a base di cioccolato e formaggi erborinati.

MARZEMINO

È citato nel Don Giovanni di Mozart: “Versa il vino! Eccellente Marzemino!”. Ed è davvero un vino eccellente tipico della regione Trentino. Anche se la sua prima comparsa nel libro della storia la fa nel Quattrocento nelle aree di Brescia e Padova. Forse il nome deriva da “grano di marzo” in lingua tedesca perché i suoi acini sono piccoli. Il colore è rosso rubino; il sentore caratteristico è quello di frutta rossa, di mora e ciliegia, che nelle versioni passite diventa confettura; i tannini sono piuttosto leggeri e consentono di percepire l’aroma fruttato anche dopo la degustazione. L’abbinamento ideale è con salumi e affettati, primi piatti con sughi e secondi di carne rossa. La versione passita, perfetta con formaggi stagionati e pasticceria secca, è ideale come vino da meditazione.

MERLOT

Un vino conosciuto e consumato in tutto il mondo: infatti, il vitigno omonimo da cui si ricava, originario della Francia, è coltivato in tutti i continenti. Ovviamente ne deriva che i vini che portano questo nome possono essere diversissimi tra di loro, a seconda della provenienza del vitigno e delle tecniche di vinificazione adottate nei vari Paesi. Il colore è rosso rubino molto intenso; al naso è intenso e complesso, con ciliegia, tamarindo, lampone e note speziate di pepe e chiodi di garofano; al palato conferma le note olfattive con tannini marcati ma non aggressivi. L’abbinamento ideale è con le carni rosse e la piccola selvaggina, ma anche primi piatti con sughi di carne, salumi e formaggi stagionati.

MONTELLO ROSSO

È un taglio bordolese prodotto sulle colline omonime della provincia di Treviso, in Veneto. Per i meno avvezzi ricordiamo che il taglio bordolese è un uvaggio di Merlot, Cabernet Sauvignon e Cabernet Franc caratteristico della regione di Bordeaux: qui è possibile aggiungere Carmenère e fino al 15% di altri vitigni a bacca nera del territorio. In questa zona la vite è stata introdotta nel Medioevo dai monaci benedettini e successivamente valorizzata dalla Serenissima. Nel 1977 è nata la Montello e Colli Asolani DOC (denominazione di origine controllata), oggi Montello Asolo, per vini sia rossi che bianchi da vitigni internazionali, mentre nel 2011 è stata riconosciuta la Montello o Montello Rosso DOCG (denominazione di origine controllata e garantita, la più alta secondo la legislazione italiana). Il colore è rosso rubino intenso, il profumo intensamente fruttato varia a seconda delle percentuali dei vitigni impiegati, al palato è sempre molto equilibrato. Si abbina con sughi a base di carne, con secondi di selvaggina, ma anche con la tipica pasta e fagioli alla veneta.

MONTEPULCIANO

Un nome su cui è necessario fare chiarezza: quando si ordina un Montepulciano si intende un vino ricavato dal vitigno omonimo coltivato in Abruzzo. Altra cosa è il Vino Nobile di Montepulciano, una cittadina toscana dove invece è allevato il vitigno Sangiovese. Il colore è rosso rubino intenso; al naso si avvertono sentori di frutta, in particolare prugna e amarena, e di fiori, quali viola e ciclamino, e poiché è spesso affinato in legno note speziate di cuoio; al palato conferma le note olfattive con tannini equilibrati. L’abbinamento ideale è con le carni rosse e la selvaggina, ma anche con formaggi stagionati.

MORELLINO DI SCANSANO

Si potrebbe pensare che il suo nome derivi dal colore scuro dell’uva con la quale è prodotto, che è poi una varietà di Sangiovese coltivata in Toscana nella zona della Maremma, ma probabilmente l’etimologia si deve collegare ai cavalli qui allevati. È un vino relativamente giovane, creato dopo che le bonifiche del secolo scorso hanno migliorato la situazione climatica e sanitaria della zona. All’esame visivo si presenta di un rosso rubino trasparente; all’olfattivo si avvertono sentori fruttati di mora e mirtillo, amarena e prugna, floreali di violetta, infine speziati di liquirizia, cannella, noce moscata e pepe nero; i tannini che all’origine sarebbero piuttosto robusti si ammorbidiscono grazie all’affinamento in legno. È destinato all’abbinamento con carni rosse, anche di selvaggina, oppure con zuppe tipiche della regione.

MOSCATO

Non le mosche, ma il muschio e la noce moscata sono all’origine del nome di questo famosissimo vino, a causa del suo aroma caratteristico. Sono diversi i Moscati che si possono trovare sugli scaffali: da quello di Scanzo a quello di Pantelleria e tutte le varietà che si possono ricavare dai vari vitigni bianchi, gialli e neri. Esaminando il più diffuso Moscato bianco, il colore si presenta giallo paglierino con riflessi dorati; essendo i Moscati tutti vitigni aromatici le note olfattive sono molteplici, dalle fruttate alle floreali, alle balsamiche; al palato si confermano i ricordi olfattivi e si avvertono sapidità e freschezza. È il classico vino da abbinare a dolci e dessert, ma è perfetto anche con i piatti della cucina orientale e preparazioni speziate.

MÜLLER – THURGAU

Creato dall’uomo: ecco un vino che nasce da un vitigno nato artificialmente nell’Ottocento dall’incrocio tra Riesling renano e Madeleine Royale, grazie agli studi di un enologo svizzero. Oltre che in Italia, è diffuso in Germania, Austria e Ungheria. È uno dei vini più presenti sugli scaffali dei supermercati, facile e di pronta beva, come si usa dire: è adatto a ogni occasione e chiunque può trovare la sua etichetta preferita. All’esame visivo si presenta giallo paglierino con riflessi verdolini; all’olfattivo si distinguono note fruttate di pesca bianca e floreali di rosa, erbacee e speziate di noce moscata e salvia; è di buona persistenza con retrogusto agrumato e speziato. È un vino da bere giovane, perfetto come aperitivo e abbinato a piatti di pesce.

NEGRAMARO

In Italia esiste una band molto popolare che ha lo stesso nome di questo vino: non so chi sia più famoso dei due, ma entrambi sono magnifici rappresentanti della Puglia. Il colore è rosso rubino molto intenso, impenetrabile; al naso i sentori sono di amarena, prugna, ma anche tabacco e carruba; particolarmente tannici se giovani, si ammorbidiscono con l’affinamento. Pur essendo un rosso di robusta struttura, può essere considerato un vino da tutto pasto: dalle zuppe di ceci alle carni d’agnello, dalle frattaglie ai formaggi, tutti i piatti tipici della cucina salentina vi si abbinano perfettamente. Sono molto interessanti anche le versioni rosate, anch’esse perfette con tutti i cibi tipici della regione e ideali per chi non ama l’astringenza del tannino.

NERO D’AVOLA

Forse il vino rosso siciliano più famoso del mondo: considerato un tempo come un classico vino da taglio, ora il Nero d’Avola, ottenuto dal vitigno omonimo coltivato nelle zone di Avola, Noto e Pachino in Sicilia, ha guadagnato la sua individualità e viene vinificato in purezza con ottimi risultati. Anzi, è uscito anche dall’Italia e il vitigno è stato impiantato anche in Turchia, California e Australia. Il colore è rosso rubino intenso; al naso si avvertono sentori di frutta, dall’amarena alla mora, dalla mela al mirtillo, e di fiori, in particolare viola; al palato si confermano i ricordi olfattivi e se affinato a lungo in legno anche note speziate. È destinato all’abbinamento con secondi di carni rosse, sia arrostite che grigliate, ma anche con formaggi stagionati.

NURAGUS DI CAGLIARI

Forse non è semplice da trovare in enoteca o al supermercato (a meno che non siate in Sardegna naturalmente), ma se lo trovate non fatevi scappare la bottiglia. È prodotto nella zona intorno al capoluogo della regione, ma anche ad Oristano e a Nuoro, e porta il nome di una delle costruzioni tipiche della regione: i Nuraghi edificati in epoca preistorica da una misteriosa civiltà. Se ne hanno notizie storiche fin dal Seicento. Il colore è giallo paglierino con riflessi verdolini; all’olfatto si avvertono pesca, pompelmo, timo e origano; al palato è gradevole con un retrogusto amarognolo. È il vino ideale come aperitivo, ma può essere anche bevuto a tutto pasto, in particolare se i piatti sono a base di pesce.

ORMEASCO DI PORNASSIO

Un nome difficile da ricordare e da pronunciare, ma il vino merita di essere assaggiato. Si tratta di una delle DOC (denominazione di origine controllata) della Liguria e nasce da un clone del vitigno Dolcetto, coltivato nella zona di Ormea, un piccolo borgo sull’Appennino, al confine tra Liguria e Piemonte. In zona sono così orgogliosi del loro vino che esiste anche una confraternita che lo promuove. Il colore è rosso rubino con riflessi violacei; all’olfatto si capisce la zona di provenienza (ovvero le alture vicino al mare) perché si avvertono subito timo e rosmarino con sottofondo di piccoli frutti rossi; al gusto tornano le fragoline di bosco e i tannini si presentano non invadenti. È destinato all’abbinamento con primi piatti anche con sughi di carne e con secondi a base di carni bianche.

ORTRUGO

Nome ostico, forse sconosciuto ai neofiti, si sta diffondendo sempre di più in ristoranti ed enoteche. Il vitigno omonimo è coltivato in provincia di Piacenza, in Emilia. Il vino che se ne ricava è particolare, perché solitamente è proposto nell’accattivante versione frizzante. Il colore è giallo paglierino con riflessi verdolini; al naso presenta un bouquet floreale accompagnato da mele golden; al palato presenta freschezza e sapidità con retrogusto amarognolo. Nella più diffusa versione frizzante è perfetto come aperitivo, nella versione ferma si accompagna ad antipasti magri e piatti a base di pesce.

ORVIETO

Ecco una DOC (denominazione di origine controllata) che si divide tra due regioni, Lazio e Umbria, anche se la cittadina medievale dalla quale prende il nome è in Umbria. In questa zona il vino era già prodotto in epoca etrusca. Per le particolari condizioni climatiche e del terreno le vigne possono essere attaccate dalla muffa nobile e dare origine quindi a vini “botritizzati o “muffati”, tanto che l’etichetta Orvieto rappresenta uno dei più noti vini italiani di questo tipo. Il colore è giallo paglierino; l’esame olfattivo evidenzia note di fiori gialli, miele, nocciole, muschio e un sottofondo di mineralità dovuto ai suoli tufacei; al gusto si confermano le note di mineralità, ma nella versione botritizzata è dolce e vellutato. L’abbinamento ideale è con piatti di pesce o carni bianche, ma anche formaggi erborinati; nella versione muffata è un classico vino da meditazione.

PASSERINA

È molto amata dai passeri l’uva dalla quale è ricavato, ma è molto amato dagli intenditori il vino omonimo. Di recente valorizzazione, è diffuso soprattutto come bianco fermo e secco, ma esiste anche in versione passita e spumante. È tipico dell’Italia centrale, in particolare Marche e Lazio, ma lo si trova sulle tavole dell’intera penisola. Il colore è giallo paglierino con riflessi dorati; i profumi spaziano dalla frutta a polpa gialla, come mela e banana, ai fiori, soprattutto gelsomino, alle note erbacee; al palato presenta sapidità e freschezza, con ricordi di agrumi ed erbe aromatiche. È perfetto come aperitivo e si abbina con secondi di pesce o carni bianche e con formaggi di media stagionatura.

PECORINO

Non è soltanto un formaggio, ma anche un fantastico vino. Infatti, il consumatore medio probabilmente non conosce ancora questo vitigno, che fino a qualche tempo fa non era vinificato in purezza: invece ora è stato valorizzato dai produttori marchigiani e abruzzesi che stanno ottenendo ottimi risultati. Comunque il collegamento con le pecore esiste: si tratta di uve predilette dalle greggi in transumanza, oppure dai loro pastori. Il colore è giallo paglierino con riflessi dorati; al naso si avvertono sentori di frutta gialla, dalla banana all’albicocca, e di fiori, dall’acacia al tiglio; al palato ha note persistenti oltre che fruttate e floreali anche minerali. È ideale come aperitivo e si sposa bene con pesce, carni bianche e formaggi poco stagionati.

PICOLIT

Il suo nome esatto è: Colli Orientali del Friuli Picolit ed è una DOCG (denominazione di origine controllata e garantita, la più alta secondo la legislazione italiana). Uno dei vini passiti più apprezzati, ha corso il rischio più volte nel corso della storia di scomparire, nonostante i suoi molti estimatori. Carlo Goldoni lo definì “la gemma enologica più splendente del Friuli”. Il colore è giallo dorato con riflessi ambrati; complesso il bouquet, dalla frutta, soprattutto pesca bianca e albicocca, ai fiori di campo e al miele di acacia; al gusto presenta calore e morbidezza e conferma i sentori olfattivi, con lunga persistenza. Se non lo si beve da solo come vino da meditazione, l’abbinamento ideale è con pasticceria secca, dolci tipici friulani e anche formaggi erborinati.

PIGATO

A volte viene confuso con un suo conterraneo più famoso, il Vermentino, ma in realtà questo bianco ha una sua personalità. Effettivamente il vitigno, importato dai Greci in Liguria nel Medioevo, è imparentato col Vermentino e probabilmente deriva il suo nome da “impeciato” (sporco di pece) in riferimento alle macchie presenti sulla buccia dell’uva. Il primo vino Pigato venne venduto nel 1950 al prezzo di 300 lire. All’esame visivo si presenta giallo paglierino; all’olfattivo si avvertono sentori agrumati di pompelmo rosa e mandarino, floreali e a volte balsamici; al gustativo si confermano gli stessi sentori. È un vino fresco e dal sapore persistente che si abbina perfettamente alla specialità gastronomica della regione, il pesto, un fantastico condimento per trofie e linguine, oppure a qualsiasi piatto di pesce.

PIGNOLETTO

Se si pensa a un tipico vino dell’Emilia Romagna sicuramente non viene alla mente il Pignoletto, invece è l’unica DOCG (denominazione di origine controllata e garantita, la più alta secondo la legislazione italiana) della regione insieme all’Albana ed è proprio il vino del capoluogo, Bologna. Però ora incomincia a essere conosciuto e lo si trova anche sugli scaffali dei supermercati: soprattutto nella versione frizzante. L’etimologia del nome del vitigno (che ha lo stesso DNA del Grechetto di Todi) potrebbe essere riconducibile semplicemente alla forma del grappolo, una piccola pigna, oppure a un antico vino “pino lieto” citato da Plinio il Vecchio. Il colore è giallo paglierino con note verdoline; all’olfatto si notano pesca bianca, ananas, pompelmo, gelsomino e camomilla con sottofondo erbaceo e balsamico; al gusto è fresco e sapido con retrogusto di mandorla e agrumi. Perfetto con aperitivi e antipasti, è adatto anche a primi o secondi piatti di pesce.

PINOT BIANCO

Se si dovesse consigliare un vino a una persona che si accosta a questo meraviglioso mondo per la prima volta questo sarebbe il più adatto. La sua piacevolezza conquista tutti (o quasi): e pensare che a lungo è stato confuso (anche come vitigno) con l’altrettanto diffuso Chardonnay. Il colore è giallo paglierino con riflessi dorati; al naso presenta aromi fruttati, soprattutto di mela golden, con sottofondo ammandorlato e una tipica nota burrosa; al palato presenta freschezza e sapidità con retrogusto ammandorlato. È perfetto come aperitivo, con gli antipasti magri e i piatti a base di pesce e carni bianche.

PINOT GRIGIO

È un vino molto di moda, noto probabilmente anche ai meno esperti, ma come tutti quelli prodotti da vitigni internazionali dà risultati molto diversi a seconda della zona di provenienza e del metodo di vinificazione adottato. Il colore è giallo paglierino; al naso è molto complesso, con note di mela, pera, pesca, ananas, susina, banana, limone, pompelmo, albicocca, litchi, frutta secca, biancospino, ginestra, acacia, gelsomino, sambuco e infine anche sentori minerali; al palato presenta freschezza e sapidità. Nella più diffusa versione frizzante è perfetto come aperitivo, nella versione ferma si accompagna ad antipasti magri e piatti a base di pesce.

PINOT NERO

Forse è il vino più caro del mondo: il celeberrimo Romanée Conti è infatti un Pinot nero. Ma, come accade a tutti i vitigni internazionali, i vini che se ne ricavano sono molto diversi a seconda della zona del mondo in cui sono prodotti e quindi prezzo e qualità variano. Il colore è rosso rubino; al naso si avvertono sentori di ciliegia, lampone, fragola, mirtillo, rosa e violetta, ma anche note speziate di cuoio, liquirizia e vaniglia nelle versioni più invecchiate; al palato presenta freschezza e bassa tannicità. L’abbinamento ideale è con carni rosse e selvaggina, ma può anche essere degustato da solo come vino da meditazione.

PRIMITIVO

È sempre più spesso vinificato dai produttori pugliesi e i consumatori lo stanno scoprendo. Tra le sue varietà esiste anche una DOCG (denominazione di origine controllata e garantita, la più alta secondo la legislazione italiana): il Primitivo di Manduria dolce naturale. Il colore è rosso rubino molto intenso, a volte impenetrabile; al naso è piuttosto complesso, con mora, prugna, amarena, fino alla frutta sciroppata, viola e note terziarie di cannella, carruba, liquirizia, pepe nero, tabacco; al palato conferma le note olfattive con tannini piuttosto aggressivi. L’abbinamento ideale è con le carni rosse e la selvaggina, ma anche con formaggi stagionati.

PROSECCO

Sembrerebbe superfluo dedicare un paragrafo a quello che è sicuramente il vino italiano più bevuto al modo. Ma in realtà, come spesso accade per argomenti che sembrano conosciuti a tutti, sono diversi gli elementi da chiarire. Prima di tutto, il vitigno con cui è prodotto questo spumante non si chiama Prosecco (come talvolta viene indicato anche da presunti addetti ai lavori), ma Glera. Prosecco, invece, è il nome di una località in Friuli molto lontana dalle colline di Conegliano Valdobbiadene (che si trovano in Veneto e recentemente sono state inserite nella lista del Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco) dove si producono le etichette a marchio DOCG (denominazione di origine controllata e garantita, la più alta secondo la legislazione italiana). Infine, il metodo col quale si ottengono le famose bollicine non è il classico (quello dello Champagne per intenderci), ma lo Charmat o Martinotti, ovvero con seconda fermentazione non in bottiglia ma in autoclave. E ora con le idee più chiare si può bere con ancor maggior piacere una delle eccellenze del Bel Paese.

RABOSO

Il nome ci dice che questo è un vino dal carattere deciso: infatti, probabilmente significa semplicemente “rabbioso”; alcuni ritengono invece che derivi dal torrente omonimo che scorre nella zona del Piave. Per la sua rusticità è stato a lungo utilizzato come vino da taglio, ma ora è vinificato in purezza ed è alla base di una DOCG (denominazione di origine controllata e garantita, la più alta secondo la legislazione italiana) veneta: Piave Malanotte. Il colore è rosso rubino intenso; al naso si avvertono sentori di frutta, dall’amarena al ribes, fino alla confettura, di fiori, in particolare viola, e di eucalipto; al palato i tannini si presentano piuttosto aggressivi e quindi spesso questo vino è affinato a lungo in legno per ammorbidirlo. È destinato ovviamente all’abbinamento con secondi di carni rosse, sia arrostite che grigliate, con selvaggina e con formaggi stagionati.

REFOSCO

Ha avuto una testimonial d’eccezione questo vino: Livia, la moglie dell’imperatore Augusto, vissuta fino oltre gli ottanta anni, beveva regolarmente un vino chiamato Pucinum che molti identificano con il Refosco. Ma anche Giacomo Casanova nel Settecento lo definisce squisito, mentre nell’Ottocento Louis Pasteur selezionò i migliori vitigni della varietà Refosco dal peduncolo rosso. Il colore è rosso rubino intenso; all’olfatto si avvertono mora selvatica, marasca, ribes nero, lampone e nelle versioni più invecchiate note speziate di tostatura e tabacco; al gusto è morbidamente tannico e con retrogusto di mandorla. Come spesso accade, il Refosco si abbina perfettamente ai piatti tipici della regione, in questo caso il Friuli, come cotechino o stinco di maiale al forno, e a classiche specialità di selvaggina.

RIBOLLA GIALLA

Se chiedete un buon bianco al ristorante è probabile che vi propongano questo piacevolissimo vino friulano. Testimonianze della sua presenza risalgono al Trecento e il suo nome indica la particolarità di ribollire nei tini a causa della forte presenza di acido malico, derivando dallo sloveno “rébula”. Infatti, il vitigno è allevato da sempre anche nella vicina Slovenia. All’esame visivo si presenta giallo paglierino brillante; al naso si caratterizza per note di frutta a polpa bianca e fiori quali acacia e rosa bianca, con sottofondo minerale ed erbaceo; al palato si confermano la freschezza e la mineralità e si avverte un finale amarognolo. L’abbinamento ideale è con antipasti e piatti di pesce, ma anche carni bianche; esiste la versione spumante che si presta come vino da tutto pasto.

RIESLING

Tutti l’hanno sentito nominare, ma i vini che portano questo nome sono tanti e molto diversi, a seconda della provenienza. Il vitigno Riesling renano è il simbolo enologico della Germania e qui si producono i più caratteristici, però è diffuso anche nella regione francese dell’Alsazia e nel nord Italia. Attenzione a non confonderlo però con il Riesling italico, una varietà completamente diversa. Il colore è giallo paglierino; al naso si avvertono sentori di limone, cedro, mela verde, camomilla, biancospino, gelsomino, ginestra; al palato conferma le note olfattive. Da sottolineare che la caratteristica dei Riesling, in particolare di Renania e Alsazia, è l’aroma di idrocarburi. L’abbinamento ideale è con pesci e crostacei, carni bianche e formaggi caprini.

ROSSESE DI DOLCEACQUA

È probabile che se chiedete questo vino al ristorante o anche in un’enoteca vi guardino stupiti perché non l’hanno mai sentito nominare: è sicuramente poco noto, ma merita di essere conosciuto come tutte le eccellenze della gastronomia italiana. Nasce dal vitigno omonimo che è coltivato in Liguria, sulla Riviera di Ponente, nelle valli dei torrenti Nervia e Crosia, fino a un’altitudine di 500/600 metri sul livello del mare. Il colore è rosso rubino brillante; all’olfatto si avvertono violetta e rosa secca; al gusto è morbidamente tannico e con retrogusto amarognolo. Come spesso accade, si abbina perfettamente ai piatti tipici della regione di provenienza, come il coniglio alla ligure o lo stufato di capra con i fagioli, ma la sua maggiore caratteristica è di essere uno dei pochi vini che si abbinano ai carciofi, grazie alla sua bassa tannicità.

ROSSO CONERO

È una terra di grande bellezza e di rinomanza turistica il Conero, nella regione delle Marche, e i suoi vini non sono da meno. Tanto che fin dall’antichità erano conosciuti, come testimoniano il greco Strabone e il romano Plinio il Vecchio, e sono stati tra i primi a ottenere il riconoscimento della DOC (denominazione di origine controllata). Il disciplinare del Rosso Conero prevede l’utilizzo del Montepulciano d’Abruzzo in purezza o con l’aggiunta di Sangiovese per un massimo del 15%; dal 2004 è nata la DOCG (denominazione di origine controllata e garantita, la più alta secondo la legislazione italiana) Conero, con resa per ettaro minore e più lungo tempo di affinamento, garanzia di maggiore complessità. Quest’ultima si abbina perfettamente a primi piatti sostanziosi come le pappardelle al ragù di cinghiale e secondi a base di carni rosse e selvaggina, mentre il Rosso Conero si sposa meglio con pasta fresca ripiena, carni bianche e formaggi stagionati. Altro vino rosso della provincia di Ancona (ma anche di Ascoli, Fermo e Macerata) è il Rosso Piceno, da un uvaggio di Montepulciano con Sangiovese fino al 50%.

SAGRANTINO DI MONTEFALCO

Non inganna il nome: l’etimologia risale proprio al termine “sacro” perché si tratta di un vino che veniva utilizzato per le Sante Messe. Alla metà del Cinquecento risale la prima menzione ufficiale del vitigno che dà il nome a questo splendido vino: un vitigno che successive verifiche scientifiche hanno appurato essere semplicemente Sangiovese, l’uva principe di Toscana e Umbria. Il colore è rosso rubino brillante; il sentore caratteristico è la violetta, accanto a prugna, mora, amarena e mirtillo, talvolta anice stellato, mentre i principali aromi derivanti dal lungo affinamento sono tabacco, cioccolato, caffè e cuoio; è il vino più tannico che esista quindi al gusto non può non presentare una notevole astringenza e una grande persistenza fruttata e balsamica. L’abbinamento ideale è con la selvaggina.

SALICE SALENTINO

Un vino che è simbolo di un vitigno, il Negramaro, e di una famiglia, i de Castris. Spieghiamoci meglio: la DOC (denominazione di origine controllata) Salice Salentino, il cui disciplinare prevede l’utilizzo prevalente del famoso vitigno pugliese, nasce nel 1976 grazie ad Arcangelo de Castris, i cui vini erano conosciuti ed esportati in tutto il mondo. In particolare, l’azienda Leone de Castris negli anni Quaranta del secolo scorso aveva “inventato” il Five Roses, il primo rosato a essere imbottigliato e commercializzato in Italia. Oggi la denominazione si è ampliata e comprende, oltre a rosso e rosato, anche bianchi, in versione sia ferma che spumante, e prevede l’utilizzo di vitigni anche internazionali. Il Salice Salentino rosso si presenta con un colore rubino molto intenso; al naso i sentori sono di amarena, prugna, ma anche caffè o cioccolato con l’affinamento; al palato i tannini si ammorbidiscono sia con l’invecchiamento, sia con la percentuale di Malvasia Nera di Lecce che spesso viene aggiunta in uvaggio. L’abbinamento ideale è con i piatti della cucina salentina, soprattutto secondi a base di carni rosse e selvaggina, ma anche formaggi molto stagionati.

SANGUE DI GIUDA

Capita sovente che i nomi dei vini siano legati a vicende sacre: in questo caso si racconta che Giuda, pentitosi nell’aldilà del proprio tradimento, venne resuscitato da Gesù nell’Oltrepò Pavese, in particolare a Broni, e qui risanò le viti malate, meritandosi così sia la salvezza che la dedica di un vino. Si tratta di un vino, ovviamente rosso, proposto sia in versione ferma, che frizzante o spumante, con uvaggio di Barbera e Croatina, vitigni tipici della zona, e in minor percentuale Uva rara, Vespolina e Pinot nero. Faceva parte della DOC (denominazione di origine controllata) Oltrepò Pavese fino al 2010, quando ottenne una denominazione tutta sua. Generalmente proposto come vino dolce da dessert, perfetto con torte a base di frutta, ma anche con formaggi piccanti, nella versione secca può essere invece abbinato a salumi e primi piatti locali.

SAUTERNES

Il sogno di tutti i wine lover è di avere una bottiglia di Château d’Yquem nella propria cantina: questo vino, considerato uno dei più pregiati e costosi al mondo, è un Sauternes, cioè un vino ottenuto da uve attaccate dalla muffa nobile prodotto in Francia nella zona di Bordeaux con uve Sémillon, Muscadelle e Sauvignon blanc. Ma se non ci si può permettere questa specifica etichetta, citata anche da Proust nella sua “Recherche”, si possono avere grandi soddisfazioni anche gustandosi uno dei tanti Sauternes prodotti in zona. Il colore è giallo dorato; i profumi ricordano zafferano e miele; il sapore è persistente e ovviamente dolce. Ma ultimamente, poiché il gradimento del pubblico si sta sempre più spostando verso i vini secchi, anche i vini passiti stanno mitigando la loro dolcezza. L’abbinamento ideale è con prelibatezze quali foie gras o Roquefort, ma naturalmente è soprattutto un vino da meditazione da assaporare in splendida solitudine.

SAUVIGNON BLANC

È alto il rischio, per chi non è molto addentro nei misteri enologici, di confondere il vino bianco Sauvignon con il rosso Cabernet sauvignon: in comune hanno soltanto l’aggettivo che in francese significa selvaggio. Deriva da un vitigno internazionale diffuso in tutto il mondo. Il colore è giallo paglierino; al naso la caratteristica di questo vitigno semi-aromatico sono le note vegetali, come ortica, foglia di pomodoro, erba falciata, ma spesso i produttori ne esaltano le note fruttate; le caratteristiche al palato sono acidità e alcolicità. È molto versatile e si accompagna particolarmente bene a cibi piccanti anche di cucine esotiche.

SCHIAVA

Chi frequenta il Trentino lo conosce bene: è uno dei vini che non possono mancare sulle tavole di questa regione alpina. Anzi, un tempo era un vino di qualità piuttosto bassa destinato a un consumo quotidiano, mentre adesso è un vino eccellente e il vitigno rientra nei disciplinari di alcune DOC (denominazione di origine controllata). Ve ne sono quattro varianti: la Schiava Gentile, la Schiava Grossa, la Schiava Grigia e la Schiava Nera. Il colore è rosso rubino; al naso presenta un bouquet a base di frutta rossa matura con sottofondo di mandorla amara; al palato presenta note fruttate e tannini leggeri. Si sposa bene con i piatti tipici delle zone alpine, come i canederli, lo speck e i piatti a base di funghi.

SCIACCHETRÀ

Un vino che è un’opera d’arte: sarà per questo che uno dei primi a utilizzare il termine che lo definisce è stato un pittore ottocentesco, Telemaco Signorini. L’etimologia del vocabolo si fa risalire al verbo dialettale “sciacàa”, che significa schiacciare, con riferimento semplicemente alla pigiatura dell’uva. Entrano nella composizione di questo passito, che rappresenta una DOC (denominazione di origine controllata) chiamata Cinque Terre Sciacchetrà, tre vitigni tipici della Liguria: Albarola, Bosco e Vermentino. Il colore è giallo dorato con riflessi ambrati; al naso si avvertono sentori di miele e frutta secca; al palato conferma i sentori olfattivi, con lunga persistenza. Se non lo si beve da solo come vino da meditazione, l’abbinamento ideale è con pasticceria secca e formaggi erborinati.

SOAVE

Un termine poetico, ma che in realtà è semplicemente un riferimento a una località, situata nella regione Veneto nei pressi del lago di Garda, il cui nome probabilmente deriva dal popolo degli Svevi. Però forse non è un caso che Cassiodoro nel V secolo parlasse dei vini “soavissimi” della zona. Una curiosità: dal 1999 esiste la Strada del Vino Soave, che rappresenta anche un interessante percorso turistico. Il colore è giallo dal verdolino al paglierino; i profumi spaziano da pera, mela, pesca, agrumi fino a biancospino, ginestra e a volte frutta esotica; al gusto è molto fresco a causa dell’alta acidità del vitigno Garganega col quale è vinificato. Perfetto con gli aperitivi, si abbina anche a primi e secondi piatti a base di pesce, alle carni bianche e ai formaggi giovani o di media stagionatura.

TEROLDEGO ROTALIANO

L’origine del nome è controversa: o deriva da Tirolo, oppure da “tirelle”, che era il sistema utilizzato per l’impianto della vite. Mentre Rotaliano si riferisce alla Piana Rotaliana in Trentino, dove viene coltivato l’omonimo vitigno. Gli studi ampelografici su quest’ultimo hanno dimostrato innegabili parentele con Lagrein, Marzemino e Syrah. Il colore è rosso rubino intenso; al naso si avvertono le note fruttate di frutta rossa matura, quelle floreali di viola e quelle speziate di liquirizia, mentre la confettura appare nelle versioni più invecchiate; è un vino con tannini poco aggressivi e dalla notevole persistenza con finale di mandorla amara. L’abbinamento ideale è con la selvaggina, con le carni rosse alla griglia, ma anche con formaggi stagionati.

TINTILIA DEL MOLISE

Fino a qualche tempo fa assolutamente sconosciuto, ora questo vino si trova addirittura nei ristoranti all’estero. Un bel successo per un vitigno che a lungo è stato confuso con il Bovale sardo anche nei documenti ufficiali quale l’Albo internazionale dei vitigni e che invece ha ottenuto il riconoscimento di una DOC (denominazione di origine controllata) ed è vinificato in purezza. Il colore è rosso rubino brillante; al naso presenta un bouquet a base di piccoli frutti rossi, in particolare lampone, su note balsamiche di eucalipto; al palato presenta note fruttate di prugna e mora con tannini decisi. Si sposa bene con i piatti tipici della regione, a base di carne, come il capretto e il castrato.

TREBBIANO

Si dice che ogni regione d’Italia abbia il suo Trebbiano e probabilmente è vero: ciascuno quindi può trovare quello che preferisce. I più noti sono quelli d’Abruzzo, di Soave, di Romagna e Toscano. Il suo successo ha una duplice motivazione: il vitigno è molto resistente e facilmente impiantabile, il vino che ne deriva è gradevole e di facile beva. Ma mentre un tempo era considerato un vino fin troppo facile e di scarsa qualità, oggi presenta etichette di notevole pregio. Il colore è giallo paglierino; all’esame olfattivo si avvertono sentori di frutta, in particolare mele golden, e di fiori di campo; al palato le sue caratteristiche sono freschezza e sapidità. È destinato all’abbinamento con primi piatti, con secondi a base di pesce e con formaggi non stagionati.

VALPOLICELLA

Dal Veneto, terra di grande tradizione enologica, proviene questo vino prodotto con tre vitigni: Corvina almeno per il 45%, Corvinone e Rondinella. Un suo antenato è probabilmente il Retico, dal nome delle popolazioni che abitavano questa zona, particolarmente apprezzato ai tempi dell’Impero Romano. È caratterizzato da un colore rosso rubino molto intenso, quasi impenetrabile, come lascia intuire il nome dell’uva che principalmente lo compone; le note olfattive spaziano da violetta e rosa rossa a mora, amarena e prugna, sviluppando poi aromi terziari come cuoio e cioccolato con l’invecchiamento; alla degustazione si confermano questi sentori accompagnati da tannini decisi. L’abbinamento ideale è con piatti di carni e formaggi di media stagionatura. Esiste anche la versione chiamata Valpolicella Ripasso, ottenuta appunto dal “ripasso” sulle vinacce utilizzate per produrre l’Amarone, il celebre vino da meditazione: si può abbinare ad arrosti e formaggi stagionati.

VALTELLINA

Ecco un tipico rappresentante della viticoltura “eroica”, come viene chiamato l’allevamento della vite in zone montuose e quindi su ripidi pendii. È prodotto dal vitigno Nebbiolo, che però in questa zona della Lombardia è chiamato Chiavennasca, ed è distinto in cinque sottozone: Inferno, Grumello, Sassella, Valgella e Maroggia. Nella versione Superiore è una DOCG (denominazione di origine controllata e garantita, la più alta secondo la legislazione italiana), altrimenti è DOC (denominazione di origine controllata). Ha colore rosso rubino tendente al granato; i profumi sono intensi, di confettura e nocciola, e al gusto è piuttosto tannico, ma si ammorbidisce con l’invecchiamento. Il disciplinare prevede, infatti, almeno due anni di affinamento. L’abbinamento ideale è con la selvaggina e con la bresaola, prodotti tipici valtellinesi.

VERDICCHIO

Il contenitore ha superato in notorietà il contenuto, ma questo vino merita di essere conosciuto per la sua bontà, non per la curiosa forma della sua bottiglia. Disegnata negli anni Cinquanta da un architetto che si ispirò alle antiche anfore etrusche ancora oggi identifica il Verdicchio, che a sua volta identifica una regione: le Marche. Esiste nella versione dei Castelli di Jesi e di Matelica, che si differenziano per essere la prima di maggiore corpo, la seconda con più intensi profumi. Il colore è giallo paglierino con riflessi verdolini; i profumi tipici sono di pera, pesca, ananas, biancospino e ginestra; non può mancare la nota finale di mandorla. Caratteristica del Verdicchio è la notevole acidità che deve essere equilibrata da un’alta alcolicità. Si abbina con il pesce, cibo principe della regione, e nelle versioni più invecchiate anche ai piatti a base di carni bianche.

VERDUZZO

Si contende con il Picolit la palma di miglior passito del Friuli-Venezia Giulia. Oltre che nei vini che portano il suo nome, il vitigno Verduzzo friulano entra nei disciplinari delle DOC (denominazione di origine controllata) Ramandolo e Lison Pramaggiore. La prima menzione di questo vino si ha in un documento del 1409 che elenca le portate di un banchetto servito a Cividale del Friuli in onore di papa Gregorio XII. Il colore è giallo dorato con note ambrate; i profumi spaziano da miele a frutta secca come mandorla, fico secco, albicocca secca, nocciola e dattero; al palato presenta calore e morbidezza e conferma i sentori olfattivi, con lunga persistenza. Se non lo si beve da solo come vino da meditazione, l’abbinamento ideale è con pasticceria secca, formaggi erborinati e patè.

VERMENTINO

Difficile che ti dicano di no: se lo ordini in un qualsiasi locale o ristorante generalmente ne hanno sempre una bottiglia. Perché è molto amato: e a ragione, perché nella versione prodotta in Gallura, una regione della Sardegna, ha meritato la menzione DOCG (denominazione di origine controllata e garantita, la più alta secondo la legislazione italiana), ma anche quelle prodotte in Liguria e Toscana sono ottime. Si presenta di colore giallo paglierino con possibili riflessi verdolini; profumi di frutta a polpa bianca e fiori; interessanti le note balsamiche che si possono avvertire se la vigna d’origine è vicina al mare. Si abbina perfettamente ai piatti di pesce, ma, a sorpresa, anche alla specialità sarda del “porceddu” (maialino).

VERNACCIA DI ORISTANO

I vini definiti Vernaccia sono molti perché si tratta di un vitigno coltivato in varie parti d’Italia: questo proviene dalla Sardegna e in particolare dalla cittadina di cui porta il nome, situata sulla costa ovest dell’isola. I primi cenni storici risalgono al Trecento, continua a essere prodotto per diversi secoli e ha un forte calo negli anni Novanta del secolo scorso per poi riprendere oggi il giusto posto sulle tavole degli amatori. All’esame visivo si presenta giallo oro tendente all’ambrato; al naso si riconosce subito l’effetto ossidativo del suo particolare tipo di affinamento, simile a quello dello sherry; al palato si notano fico secco e mandorla amara. Si abbina perfettamente alla bottarga (uova di tonno o di muggine), ai formaggi piccanti o affumicati ed è eccellente anche come vino da dessert.

VERNACCIA DI SAN GIMIGNANO

I vini definiti Vernaccia sono molti perché si tratta di un vitigno coltivato in varie parti d’Italia: questo proviene dalla Toscana, una delle regioni vitivinicole per eccellenza, e in particolare da una splendida cittadina medievale che merita sicuramente di essere visitata. Le prime documentazioni storiche risalgono al 1200 ed era un vino così conosciuto che anche Dante lo cita nella sua Divina Commedia, ponendo all’Inferno tra i golosi addirittura un Papa che indulgeva troppo nella sua degustazione. All’esame visivo si presenta di un giallo paglierino a volte brillante; all’olfattivo si avvertono sentori fruttati di fiori di montagna e mandorlo e fruttate di mela e mandorla amara; al gustativo è molto equilibrato e con un finale di mandorla amara. È destinato all’abbinamento con primi piatti e secondi di pesce, in particolare le preparazioni tipiche della cucina toscana, come la ribollita, ma anche i formaggi freschi.

VERNACCIA DI SERRAPETRONA

I vini definiti Vernaccia sono molti perché si tratta di un vitigno coltivato in varie parti d’Italia: questo, proveniente dalle Marche, è particolare perché subisce tre fermentazioni e perché è rosso, non bianco come le altre vernacce. Il suo vitigno, la Vernaccia nera, è così piccolo che nel 1893 è stato dichiarato estinto, ma oggi è invece in piena ripresa e origina uno dei vini più apprezzati dagli intenditori, spumante sia in versione secca che dolce. All’esame visivo si presenta di un rosso rubino tendente al granato; all’olfattivo si avvertono sentori di frutta rossa matura o addirittura di confettura; al gustativo i tannini si presentano molto morbidi e con finale amarognolo. È perfetto con la pasticceria secca e in particolare con i dolci tipici della tradizione marchigiana, ma si può abbinare anche ad alcuni tipi di formaggio.

VINO NOBILE DI MONTEPULCIANO

Non si deve commettere l’errore di pensare che questo vino sia prodotto con il vitigno Montepulciano d’Abruzzo: è a base di Sangiovese e Montepulciano è il nome della cittadina toscana da cui proviene. Anche se il termine “Vino Nobile” si trova per la prima volta in documenti storici nel Settecento, questo vino era già noto nel Medioevo. All’esame visivo si presenta di un rosso rubino intenso; all’olfattivo si avvertono sentori fruttati di amarena e prugna, mora e mirtillo, floreali di viola e rosa, infine speziati di liquirizia, cannella, noce moscata, pepe nero e tabacco; i tannini piuttosto aggressivi si ammorbidiscono grazie all’affinamento in legno e all’alto tenore alcolico. Il suo abbinamento ideale è con i piatti tipici toscani, dalle carni rosse alla selvaggina, ai formaggi stagionati.

ZIBIBBO

La parola araba dalla quale deriva significa uva passa: è un vino famoso in tutto il Mediterraneo da tempo immemorabile. Infatti, il vitigno omonimo era stato portato dall’Egitto nell’isoletta siciliana di Pantelleria dai Fenici; è conosciuto anche come Moscato d’Alessandria. Una curiosità: la sua tecnica di coltivazione ad alberello è stata inserita dall’Unesco tra i Patrimoni Immateriali dell’Umanità. Il colore è giallo paglierino con note dorate; al naso si avvertono sentori di mandorla, albicocca e zagara; al palato presenta calore e morbidezza e conferma i sentori olfattivi, con lunga persistenza. Se non lo si beve da solo come vino da meditazione, l’abbinamento ideale è con i dolci tipici della tradizione siciliana come cannoli e pasta di mandorle, con formaggi erborinati e patè.